Primavera fiorentina

Bisognerebbe scrivere sempre oppure non scrivere mai.
Se una sera di primavera uno scrittore…uscisse di casa. E uno scrittore esce sempre di casa. E a uscire di casa, a girarle tutte, le strade, gira la testa, pure se le strade sono sempre le stesse. Gira la testa, come col bianco ghiacciato delle sere d’agosto sul lago. E tremano le gambe come col rosso avvelenato di certi pomeriggi giovani di disperata euforia.
Gira la testa, c’è troppa vita in queste strade, troppe persone, troppi occhi e schiene e cosce in questo minimo e immenso quadrato perfetto che è il centro di Firenze.
Se una sera di primavera uno scrittore….rubasse quegli occhi e quelle schiene e quelle cosce. E uno scrittore ruba sempre occhi e schiene e cosce. Gira davvero la testa e altro che rosso e altro che bianco. Vuole scriverle tutte, quelle vite, quei disperati minimalismi in fuga annusati tra cielo e asfalto. E una vita non basta, non può bastare per trasformare in carta parlante quel mare infinito di fango e splendore.
Ci sono autobus che non arriveranno prima di venti minuti e pendolari di quartiere che si riconoscono senza conoscersi. Ci sono buste della spesa con dentro cene solitarie davanti a televisioni accese a caso, colonne sonore stanche di vite appassite senza un perché. Altre hanno rumori di case affollate che profumano di soprammobili e foto ricordi. Altre ancora portano gli odori dei tremolii speranzosi degli inviti e di candele comprate apposta. Gira per forza la testa. Perché per scrivere un verso, uno soltanto, per scrivere un solo incipit di racconto, bisognerebbe almeno rincorrerli tutti quegli autobus, aspettarli per ore e giorni e poi rincorrerli fino al capolinea, fino ai palazzi stinti di periferie dove Firenze non sembra più. Bisognerebbe parlare e parlare con chi quegli autobus li perde e li prende ogni giorno, con l’uomo che per mesi a quella fermata ha aspettato la donna in nero e sempre in ritardo per poi scoprire che no, non lo amava; bisognerebbe parlare e parlare e poi aprirle, quelle maledette e straordinarie buste della spesa.
Se una sera di primavera uno scrittore….si perdesse. E uno scrittore si perde sempre a primavera. Troppa luce, troppi odori, troppi amori. Gira la testa senza soluzione. Ci sono gambe che hanno detto troppo e gambe che hanno troppo da dire. Ci sono ragazze dalla pelle chiara con cuori che battono così forte che puoi sentirne il rumore. E c’è la donna della lavanderia che fuma sull’uscio nei suoi quarant’anni e guardandole sorride e vorrebbe regalargli quella sua antica gonna dove ci aveva messo il suo primo desiderio impaurito da donare al ragazzo pelle bruna che l’accompagnava sui lungarni. E ci sono le giovani madri che aspettano i figli all’uscita della San Giuseppe, le giovani madri leonesse che afferrano i bambini e gli prendono lo zaino e gli aggiustano la maglietta marcando il territorio. E per scrivere una poesia, una soltanto in tutta la vita, bisognerebbe dargli la mano a quelle madri e partorire con loro decine di figli.
Se una sera di primavera uno scrittore….camminasse. E uno scrittore cammina sempre a primavera. Ci sono pensieri che schizzano via velocissimi tra Santa Croce e via Pietrapiana, ci sono uomini con occhi gonfi di desideri ridicoli e impossibili, meravigliosi e perversi. C’è chi beve da solo nei tavolini all’aperto e chi si prende per mano, e a Sant’Ambrogio ci sono organetti che da anni suonano ‘Cielito Lindo’ e ogni sera è una lacrima. E per ascoltare quell’unica canzone non basta una vita, e non basta una vita a rincorrerli tutti, quei desideri, quegli sputi e quei progetti vomitati dentro l’ennesimo ultimo bicchiere.
È primavera stasera a Firenze e gira la testa. Scrivere sempre o non scrivere mai. È primavera e non sai mai chi va e chi resta.

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