Storia del maggio

Avevo un amore da urlare, da gridare. Una strada da percorrere per raggiungerla, per raggiungere lei e offrirle il mio cuore palpitante e tutta la mia vita.
Parliamo di fiori quando parliamo d’amore. Quasi sempre rose, spesso viole, gigli e orchidee. Ma quei fiori, adesso, non sarebbero serviti a niente. Non sarebbero stati niente per lei, lei che era già rosa nel suo sorriso, viola nei suoi capelli, giglio nelle sue mani, orchidea nei suoi fianchi.
Ma ci sono sentieri per le strade di campagna dove a maggio esplode un fiore, il più giallo e il più piccolo di tutti. I libri lo chiamano Laburnum anagyroides. I contadini, più semplicemente, “maggiociondolo”. E quell’esplosione di giallo impazzita e ubriacante, accecante e fatale, mi faceva pensare al nostro amore e al nostro destino più di qualsiasi altra cosa.
Fu proprio mentre pensavo a queste cose che il vecchio arrivò alle mie spalle.
“La conosci la storia del maggio?”, mi chiese.
“No…”
“E’ vero amore?”, chiese ancora.
“E’ l’unico amore della mia vita”, risposi io col cuore all’impazzata, “è amorevero, tutto attaccato…lei è la sola, capito, la sola!”.
“Allora ascoltami ragazzo…un tempo lontano, quando i giovani ragazzi trovavano l’amore della loro vita, facevano una cosa. Falla anche tu, e il tuo unico amore sarà benedetto dal vento e dalla pioggia, dalla terra e dalla nebbia, da dio e dagli angeli”.
“Cosa devo fare?”
“Cogli un ramoscello fiorito del maggiociondolo. Poi vai da lei e appendilo alla sua porta. Se lei, dopo tre giorni, risponde con un garofano rosso, è fatta: si spalancherà il cielo e il vostro amore sarà benedetto”.
Non ebbi nemmeno il tempo di ringraziarlo che il vecchio era già scomparso, ma feci esattamente quello che mi aveva detto. Colsi il ramoscello di maggiociondolo e lo appesi alla porta del mio amore, del mio amorevero.
Mi misi lì ad aspettare e chiusi gli occhi.
Poi, al terzo giorno, sentii il rumore della porta che si spalancava.
“Adesso posso riaprire gli occhi?”, chiesi, “Posso riaprirli, principessa?”.

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