JUKEBOX 030 – Pink Floyd “Wish you were here”

Era il giugno del 1975.

In Italia, la Juventus aveva appena vinto il suo sedicesimo scudetto, le Brigate Rosse si erano definitivamente guadagnate risonanza nazionale con l’evasione del leader Renato Curcio dal carcere di Casale Monferrato, lo studente antifascista Giannino Zibecchi era caduto durante una manifestazione, ucciso e travolto da un camion dei Carabinieri, il servizio di leva era stato ridotto da 24 a 12 mesi e, in tutti i collettivi studenteschi, fervevano i preparativi per il festival politico-musicale del Proletariato Giovanile, organizzato dalla rivista “Re Nudo”.

Nel mondo Fellini aveva da poco vinto il suo quarto Oscar con “Amarcord”, era scoppiata una terribile guerra civile in Libano destinata a durare ben quindici anni, e le truppe americane avevano definitivamente abbandonato Saigon, arrendendosi e consegnando la vittoria nelle mani dei Vietcong e decretando la fine della guerra del Vietnam.

In Inghilterra, Charlie Chaplin veniva nominato baronetto del Regno Unito.
A Londra, negli studi della EMI, mentre i Pink Floyd stavano ultimando il missaggio del loro nono album da studio, si presentò loro un tizio grasso e sfatto, calvo, con le sopracciglia rasate, malvestito e con in mano una busta della spesa con dentro solo uno spazzolino da denti.
Waters, Gilmour, Wright e Mason stentarono a crederci, ma quello strano tizio farneticante e molto più che male in arnese era Syd Barret. Proprio quel Syd Barret che i Pink Floyd li aveva fatti nascere, che aveva segnato in maniera indelebile i loro esordi con quell’inconfondibile sound psichedelico e metafisico. Proprio quel Syd Barret, che non vedevano più dal 1968, da quando la sua salute mentale molto più che compromessa non gli aveva più permesso di stare nel gruppo.
Proprio quel Syd Barret.
Il genio Syd Barret.

Destino volle che l’album che stavano registrando fosse proprio “Wish you were here”, contenente, oltre alla canzone omonima, anche “Shine on you crazy diamond”, entrambe ispirate al genio assoluto e alla pazzia di Syd Barret.
Lui ascoltò quelle tracce, il giorno della sua improvvisata. Forse capì che erano ispirate a lui, che parlavano di lui. O forse no. Ad ogni modo pare che non gli piacquero granché.
Chiese una chitarra, perché aveva voglia di suonare anche lui nel disco.
“Mi spiace Syd”, gli rispose Waters praticamente in lacrime, “le chitarre sono finite…”.
E lui scrollò le spalle, salutò e se ne andò.
E nessuno lo vide mai più.

Uno degli album più intensi e dolorosi della discografia di una delle più grandi band di sempre.
Dove si parla di mancanza.
Di chi c’è stato e ora non c’è più.
Chiudete gli occhi, ripensate e rivivete ascoltando.
Alle vostre dolorose mancanze…

‪#‎jukebox‬
‪#‎storieRiccardoLestini‬

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *