Di cosa parliamo quando parliamo di letteratura?

Non saprei davvero rispondere.
Di sicuro so soltanto che se oggi come oggi un romanzo vuole essere pubblicato e avere successo (dove per successo si intendono tante cose: visibilità in libreria, recensioni, lettori, criiche, dibattiti, ecc., ecc….) deve fare rumore.
Rumore. Ma non quel rumore splendido e fragoroso, come di squarcio di tuono d’un temporale inatteso. Non quel rumore a onda lunga, lunghissima…che continua ad assordare anche a decenni di distanza. Non quel rumore – per intenderci – che poteva (e può) fare un romanzo di Pasolini. O di Tondelli.
Il rumore che devono fare oggi i romanzi per avere successo è d’altro tipo. E’ un rumore fastidioso. Tipo clacson e traffico congestionato. Che come la congestione svanisce e si stempera appena smaltita la fila del rientro. Che dura lo spazio d’una stagione. O poco più.
Il rumore del finto scandalo.
Il rumore del finto morboso.
Il rumore del finto perverso.
Il che può avere i suoi lati positivi. Nel senso che scrivere un romanzo di successo, diventare uno scrittore di successo, può essere più semplice che in passato. O, se non proprio semplice, più prevedibile, un percorso con strade più certe marcate da percorrere. Basta seguire il trend.
Via l’imprevedibilità, vecchio sale della letteratura. Via le strade poco (o per niente battute), vecchi cuori della creatività. Basta annusare il momento.
E magari scrivere di stanze del potere, non del Potere e dei suoi meccanismi (troppo complicato), ma di stanze del potere dove transitano ventenni scosciate che dispensano pompini per una carriera televisiva. Non raccontare come sia possibile tutto questo (roba da nostalgici pasoliniani e sciasciani che oggi non hanno più senso d’esistere), ma raccontare semplicemente ‘tutto questo’, indugiando nella scena del festino con le baldracche da mille euro a notte. Ecco, le baldracche. Quelle sono fondamentali. I pompini e le baldracche, ma quelle d’alto bordo, le escort con i vestiti firmati e il modo in cui assecondano le perversioni dei potenti.
Poi magari si può scrivere d’altro. Ma rimanere sulle perversioni è meglio. Il sadomaso è un’arma vincente. Di solito vende molto la donna all’apparenza tranquilla, magari di mezza età, che però passa i suoi venerdì sera a frustare e a farsi frustare da superdotati sconosciuti. In genere ‘la persona tranquilla che però poi’ è molto efficace. Se poi c’è sesso&sangue, tacchi a spillo, manette, umiliazioni, ancora meglio. Schiavi del sesso. Purché il finale lasci intravedere un barlume di redenzione. Amen.
Va forte anche la masturbazione. Specie quella virtuale. Il sex appeal dei segaioli violenti è in ascesa spaventosa nella nuova letteratura. Ma ovviamente è niente rispetto alle ragazzine perdute, alle baby prostitute, ai libri verità (verità??) di quindicenni sessualmente più navigate di Cicciolina, che per noia si sono vendute su internet, in cam, a scuola…Queste bimbe traviate che si firmano con il nome e l’iniziale del cognome e raccontano che visto che sono ricche ma vuote e i genitori non le capiscono, allora nel giro di un mese tirano cocaina, scopano con ragazzi più grandi, organizzano orge e fanno pompini ai professori in cambio di un otto. Ma anche qui, ovviamente, è necessaria la redenzione finale.
Seguite una o più delle linee guida appena elencate e il successo è bell’e pronto. Non solo. Vi incenseranno per aver ‘così efficacemente tratteggiato uno spaccato della realtà di oggi’, per aver scritto un ‘manifesto generazionale’, per aver ‘scavato in profondità i nostri tempi’.
È facile, no? Ricordate l’ingrediente fondamentale: che si tratti di una donna borghese annoiata, di un manager, di un ragazzotto brufoloso o di una ragazzina che ‘chiara-come-un’alba’ più non è, l’importante è che si tratti di una ‘persona normale e tranquilla che però poi’. Perché, delle persone ‘normali’ e basta, di quelle persone che lottano quotidianamente con uno stipendio da fame, con la disoccupazione, con i figli da crescere, con il traffico, con gli autobus affollati, con i treni in ritardo, con le violenze della strada, con gli amori perduti, coi vent’anni sfioriti, col grigiore del quotidiano, non glie ne importa niente a nessuno. Della vita, in sintesi, non glie ne importa niente a nessuno. Non fa notizia. ‘Ma cos’è tutto questo disprezzo per la gente normale? Per la gente che lavora, per il cartellino?’, gridava Nanni Moretti nel finale di ‘Bianca’. Ma era il 1984, e Moretti aveva capito cose con troppo anticipo, e oggi – trent’anni dopo – è fatalmente troppo tardi e quel monologo non lo ascolta più nessuno. Non fa notizia nemmeno quel monologo.
Come la vita vera. Chi la racconta, chi si ostina ancora a raccontarla (come faceva un tempo la grande letteratura che fu), deve farlo in silenzio, quel silenzio dove nascono libri meravigliosi che non leggerà mai nessuno.

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