Per Saverio Tommasi

Caro

Saverio

,

mi ha profondamente addolorato vedere le immagini dell’assurda aggressione nei tuoi confronti durante la manifestazione dei “no mask” (si chiamano così?) a Roma, sabato scorso.
L’astrusità e l’insensatezza ai limiti dell’immaginazione dei contenuti (contenuti?!) che i tuoi aggressori hanno portato in piazza sono oscene e vergognose. Eppure non ne voglio parlare, né qui né altrove. E non perché non ritenga importante parlarne, ma perché temo che a forza di contestualizzare e circoscrivere simili episodi si corra il rischio di legarli esclusivamente al “qui e ora”.
Che si corra il rischio – per farla più semplice – di minimizzarli.
Perché è ovvio che lo spettacolo penoso andato in scena sabato abbia una sua contingenza (e che contingenza! – la pandemia, le misure di contenimento, i vaccini in fase di sperimentazione ecc… ), ma il modus operandi degli animatori della piazza – ovvero la maniera con cui ti hanno urlato addosso, sputato, strattonato, impedito di lavorare rifiutando sistematicamente qualsiasi parvenza di dialogo – non è figlio dell’attuale situazione di emergenza (magari lo fosse!), ma viene da molto più lontano.
Dalla cultura dell’urlo premesso alla parola, dell’autorità anteposta all’autorevolezza, della violenza – e verbale e fisica – come sistematico strumento di affermazione, del semplicismo al posto della semplicità, del disprezzo e della brutalità più ributtanti.
Una cultura che ha una nome ben preciso: fascismo.
Oggi c’è un gran dire, o meglio un gran cicaleccio da bar, attorno all’uso delle parole “fascismo” e “fascista”. Il risultato di tanto ciarlare è che la parola “fascista” è quasi diventata un tabù, a usarla si passa da folli e da visionari, da “ucronisti” che vedono in ogni dove la minaccia del ritorno del ventennio.
Invece la parola fascismo c’è, esiste. E dobbiamo rivendicare non il diritto, ma il dovere di usarla, di non cadere nella trappola di chi la liquida come “passato” accusandoci di essere paranoici.
Perché non si tratta di agitare lo spettro del ritorno del ventennio. Al contrario si tratta di dire a chiare lettere, una volta per tutte, che il fascismo non è un’ideologia e nemmeno un fenomeno storico, ma un modo di essere, una degenerazione violenta e ignorante del più becero estremismo che si adatta ai più svariati contesti, che nel regime mussoliniano ha sì trovato la sua più clamorosa giustificazione politica, ma è poi sopravvissuto a esso, si è modificato con il modificarsi dei tempi, ingrossandosi e nutrendosi di botte e razzismi, di crisi e disagio, ed esplodendo, come stiamo vedendo in questi ultimi anni, nei passaggi e nei periodi più incerti e instabili.
Il fascismo esiste senza bisogno di chiamare in ballo Mussolini, e sabato, nella violenza usata contro di te, ne abbiamo visto una chiara dimostrazione.
Fascista è la grottesca comunione di violenza tragica e comicità involontaria delle parole che i tuoi aggressori ti urlavano contro.
Fascista è il rifiuto del confronto, il rispondere a una domanda con uno sputo e uno strattone.
Fascista è il denigrare senza alcun fondamento la tua professionalità, l’assenza totale di dialettica che mette in discussione i tuoi dati senza opporne altri.
Fascista è l’insulto come unico strumento di dibattito.
Fascista è l’eliminarti fisicamente dalla piazza, impedendoti di continuare il tuo lavoro.
Fascista è tutto ciò che è successo sabato, senza altro da aggiungere.
Il modo con cui gli agenti di polizia ti hanno consigliato di andar via per la tua incolumità, quell’allargare le braccia alla tua domanda “quindi non posso lavorare?” era di una “normale rassegnazione” che non possiamo accettare. Perché il fascismo come cultura, come logica esistenziale, come modo d’essere tutto è tranne che normale, e normalizzarlo potrebbe essere il nostro peggior delitto. E quando la pandemia sarà finita, finiranno i no mask, ma i fascisti – cui non interessa il contenuto, ma il contenitore, ovvero l’urlo e la violenza – torneranno pettoruti e sprezzanti, laureati all’università della vita, armati di sputi e pugni per asfaltare la bellezza, il merito, la cultura.
La tua soave grazia nell’affrontare tutto questo, caro

Saverio

, ha del miracoloso, un balsamo che conforta e dà speranza. Che sia un punto d’inizio in questa lotta in nome dell’intelligenza.

Ti abbraccio forte,
tuo Riccardo

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