Gabriele Salvatores – “Mediterraneo”

Raccontare il 1991 – il mio 1991 (che poi magari potrebbe pure essere il “nostro”) – in una manciata di film – che ne so, dieci o qualcosa del genere -, è un gran casino.
A scorrere i titoli delle pellicole uscite quell’anno, c’è da tremare per tanta abbondanza&bellezza (a dimostrazione che no, gli anni 90 non furono questa sequela di niente che ci vogliono far credere).
Così tanti che mi tocca dividerli in due tranche (cioè in due post).
Prima di tutto dico quello sconsiderato attacco ai nervi e alle coronarie dello spettatore che è Il silenzio degli innocenti, immortale e bellissimo e chi se la scorda più la sequenza del primo ingresso della Foster nel carcere speciale e chi si scorda più gli occhi dell’immenso Hopkins/Lecter? E subito dopo, a ruota, quell’altro capolavoro che è Thelma&Louise, un inno alla libertà tragico e devastante che il tempo non ha (quasi) scalfito. E poi la corrosiva follia di Benigni (che era ancora Benigni) in Johnny Stecchino, capolavoro assoluto del genere commedia degli equivoci e l’immortale Dottor Randazzo e Facci vedere il tuo ministero che citiamo ancora e ancora e ancora. E per un Benigni travolgente, un gigantesco Troisi intimo e introspettivo, comicissimo e malinconico, tenero e quasi tragico in quel Pensavo fosse amore invece era un calesse drammaticamente sottovalutato e che invece andrebbe insegnato a scuola, come esempio di immane delicatezza capace di scavare fin nelle viscere.
E poi capolavori assoluti di indiscussi maestri che no, non vidi al cinema in quegli anni, ma riscoprii poco dopo, ovvero il gigantesco e definitivo Rapsodia in agosto del maestro Kurosawa e, soprattutto, La doppia vita di Veronica, croce e delizia – come ogni pellicola di Kiewslovski – dei miei primi anni universitari.
E tornando al cinema, ovvero alle pellicole che effettivamente vidi in sala, come non ricordare La carne, una disumana cagata di film, talmente cagata da far sembrare un’ameba un gigante come Castellitto, che però – ricordo bene – vidi in una sala affollata di super intellettuali, perché il film era del maestro Ferreri (qui però al suo tristerrimo punto più basso della sua meravigliosa carriera), e nessuno – oh NESSUNO – che dicesse che l’unico motivo per cui guardava quel film erano le carni bianchissime e giunoniche di Francesca Dellera, esibite nella più generosa delle nudità.
E come non ricordare il The Doors di Oliver Stone, con Val Kilmer nei panni di un Jim Morrison più sciroccato che artista, più stravagante che introspettivo, più scemo del villaggio che rockstar, più alla velocità supersonica della cocaina che nella voragine lisergica dell’LSD; un film problematico, personalissimo e a tratti impossibile e irritante, che indignò quelli come me per cui la Doorsmania era già (ri)scoppiata con un paio d’anni di anticipo (ma che, indignati o meno, la scena del deserto con The end la guardammo ipnotizzati e con la bava di felicità alla bocca), ma che ebbe il merito di rilanciare la figura di Morrison nell’Olimpo dei grandi.

Ma se ne fra tutti è necessaria la violenza di sceglierne uno, eccolo qui: MEDITERRANEO di Salvatores, santamadonna. Proprio lui, gesùsantissimo.
Un film che mi ha dato quintali di brividi subito, all’istante, la prima volta che lo vidi, allo spettacolo della domenica pomeriggio, con l’amico di sempre. Brividi e lacrime per questo scappare e ritrovarsi fuori dalla storia ma dentro se stessi, che ancora nei miei quindici anni non capivo e forse non capisco neanche adesso, perché forse ancora scappo e ancora cerco un’isola dove leggere Saffo, fumare l’oppio di un turco chiamato NONZO e innamorarmi di una prostituta.
Un’isola dove l’8 settembre non è mai arrivato e le armi non servono davvero a nulla.

Un’isola dove l’arrivo dell’ennesimo tramonto, mi fa girare un po’ meno i coglioni…

#gliAnniNovantaAlCinema
#jukebox
#anni90

https://www.youtube.com/watch?v=NyLZuRWvfkQ&fbclid=IwAR3eUnPTpYDKKzBrkIeIYyDKlm2hyvHvrPHjeJfrv1xEWuOP9PeU0umZprc

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