Queen – “Delilah”

“Innuendo”, l’ultimo album dei Queen con Freddie Mercury vivo, uscì esattamente il giorno del tuo compleanno. E non smettevi di dire, divertita e civettuola, che era il regalo che i Queen avevano deciso di farti.
Compivi ventun anni, eri bellissima e, anche se ancora non lo sapevamo – né io né tu né nessuno, avevi già una figlia in grembo.
Così, di conseguenza, non sapevamo nemmeno che la nostra discussione su quel disco sarebbe stata una delle ultime che avremmo potuto fare nel buio di camera nostra, con le parole a viaggiare nello spazio minimo tra un letto e l’altro. E ignorando anche l’AIDS di Freddie e il saluto estremo che ci stava dando con quelle dodici canzoni (ma cristosanto, quante cose non sapevamo in quel febbraio 1991?), ne parlavamo liberamente e senza pesi, senza quell’aura di leggenda che l’essere l’ultimo in assoluto di una delle più grandi voci di sempre, gli avrebbe dato negli anni e nei mesi a venire.
A me per esempio non aveva colpito granché. Non un brutto album, certo, ma nemmeno uno dei capolavori dei Queen (e questo, quasi trent’anni dopo, lo penso ancora).
A te invece aveva entusiasmato. Perché eri così: alternavi come una continua e incessante montagna russa, impossibile da seguire (e da capire), tristezze inconsolabili ed entusiasmi irragionevoli. E lo avresti fatto per tutto il resto della tua vita.
Ecco, i dischi, soprattutto in quella breve, brevissima giovinezza che la maternità improvvisa ti avrebbe costretto a mettere almeno un po’ da parte, erano tra i principali animatori dei tuoi entusiasmi sconsiderati, a volte quasi irritanti per quella pienezza incontrastabile.
“Innuendo”, con l’aggravante di essere uscito per il tuo compleanno, non fece eccezione. Anzi.
Ma in particolare c’era “Delilah”, la canzone dedicata da Mercury alla sua adorata gatta. Ecco questo pezzo ti faceva letteralmente impazzire, i miagolii mescolati agli strumenti ti mandavano fuori di testa, ridevi, ti emozionavi, la ascoltavi di continuo, la canticchiavi di notte.
A me invece faceva impazzire il tuo entusiasmo incontenibile senza perché per una canzone che, per me, era senza alcuna qualità. Io, che all’epoca pur nei miei nemmeno quindici anni già mi atteggiavo a esegeta “de sta minchia”, la vedevo come un riempitivo di un disco con ben altri pezzi importanti (la title track, ad esempio e soprattutto), un eccesso di ostentazione “pop glam”, noiosa, inutile, a tratti ridicola.
Solo dopo, molto, moltissimo tempo dopo, avrei capito quanto il contrappunto tra il miagolio e la chitarra distorta di May (che pure, miagolava anche lei) fosse geniale in maniera devastante, e quanto il piccolo, l’ultra privato di una gatta che miagola fosse un inno disperato alla bellezza della vita, nel momento in cui, lei, la vita, se ne va.
Tu forse l’avevi già capito.
O forse lo sentivi, senza bisogno di capirlo.
Di sicuro tu sapevi ridere e piangere senza troppi perché, dote rara e insopportabile che io non avrei avuto mai.
Oggi quella canzone, sì, proprio “Delilah”, fa impazzire mia figlia, che mi chiede di metterla dieci volte al giorno. E la balla e la canta a suo modo e fa “miaoooo” con degli acuti meravigliosi.
E mi commuovo.
E mi incazzo che tu non la possa vedere.
Mi incazzo che tu non ci sia più.
E non sai, Robi, sorellina mia, quanto vorrei incazzarmi con te discutendo di una canzonetta che a te fa impazzire mentre a me, che devo fare la parte dell’intellettuale, fa cagare.
Non sai quanto mi manca il buio della nostra cameretta, quanto mi manca quel non sapere… quanto mi manca quel febbraio del 1991…

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