Follia

Più perché lo si deve fare che perché lo si voglia fare, ma alla fine questo governo giallorosso si farà.
Le incertezze e gli ostacoli che ancora restano e ancora si palesano – minimi in termini di probabilità e percentuale, giganteschi in termini politici – sembrano più schizofrenici che strutturali, più folli che sostanziali.

Ma del resto la follia pare essere ormai l’unico comune denominatore, l’unico codice in grado di leggere e di identificare non solo il percorso di nascita e composizione del prossimo governo, non solo gli avvenimenti che hanno determinato la crisi del governo uscente, ma l’intera stagione politica che stiamo vivendo. E che, probabilmente, vivremo ancora per molto tempo.

Folle, ad esempio e in particolare, è stata la condotta di Salvini in tutti i quattordici mesi di governo gialloverde. Folle lo spudorato ed esasperato personalismo “sudamericano” con cui ha esercitato il suo ruolo di ministro e con cui ha sistematicamente provato a improntare l’intera azione di governo. Folle il calcolato e continuo disprezzo delle più elementari norme e prassi costituzionali. Folle il dichiarato razzismo di cui si è fatto ostentatamente portavoce e incarnazione. Folle lo sbandierare soluzioni palesemente disumane come necessità imprescindibili.
E folle soprattutto il fatto che, non nonostante questo (e molto altro), ma che proprio in virtù di questo (e di molto altro), il suo consenso, in quattordici mesi, sia salito vertiginosamente e costantemente, sovvertendo la regola d’oro della politica per cui governando si perde consenso.
Anzi no, non sovvertendola, ma proprio confermandola questa regola, visto che in questi quattordici mesi Salvini non ha governato per niente (laddove per governare intendiamo fare qualcosa, prendere provvedimenti), ma ha abilmente e spregiudicatamente sfruttato la sovraesposizione mediatica del suo ruolo per mettere in scena una incessante campagna elettorale continua.

Una follia, se si vuole e se possibile, ancor più esponenziale che ha determinato che più l’esercizio del suo ministero si basasse sul nulla, sul proclama a vuoto, sull’intenzione priva di azione, più riscuotesse successo. Che ha fatto sì che circa la metà degli italiani, pur vivendo in un paese dove gli africani sono il 2% dei residenti totali, gli asiatici un altro 2%, i richiedenti asilo nido appena poco più di centomila (un quartiere di Roma, praticamente), un dodicesimo del Libano (un milione e due) e un venticinquesimo della Turchia (due milioni e mezzo), credesse di essere sotto la minaccia di un’invasione e che prima di ogni cosa (prima cioè del lavoro, della pressione fiscale, della sanità, della scuola… ) occoresse fare una battaglia campale in nome della italianità per chiudere i porti.
Che ha fatto sì che quella stessa metà degli italiani credesse che il ministro dell’interno stesse conducendo chissà quale lotta apocalittica contro l’immigrazione, quando in realtà, dati alla mano, a parte la disumanità eclatante, non ha fatto altro che applicare i provvedimenti del ministro precedente, prendendosene i meriti. Che fatto sì che, nonostante dopo Casini fosse il parlamentare con più anni di attività politica alle spalle, nonostante il suo partito fosse il più antico tra i presenti e quello più presente nei governi degli ultimi 25 anni, risultasse credibile la sua battaglia contro i politicanti di professione e contro la vecchia politica. Che, pur stabilendo il record in qualità di ministro assenteista, fosse credibile il suo scagliarsi contro i fancazzisti della politica.

Di tutto questo la crisi di governo è stata la più degna delle conclusioni.
Una follia a dir poco surreale dove sono state prese a calci tutte le norme che regolano la repubblica di cui Salvini era – o meglio doveva essere – uno dei massimi rappresentanti e uno dei massimi garanti.
Dove senza nemmeno il ritegno della dissimulazione si è palesata la volontà di capitalizzare il consenso delle europee e di sovvertire il voto del marzo 2018 a cui, per mesi, ci si è richiamati in nome e del solito “popolo sovrano” e di quel “contratto di governo” continuamente sbandierato come una reliquia sacra.
Dove si è preteso di aprire una crisi di governo con appena il 17% dei voti senza minimamente passare dal parlamento, dove anzi chi ha invece preteso di parlamentizzare la crisi (ovvero di seguire le norme) è stato tacciato di alto tradimento.
Dove si è preteso che un presidente del consiglio si dimettesse in seguito a una mozione di sfiducia senza che gli sfiducianti ritirassero i propri ministri.
Dove si è preteso che a suon di forzature e senza minimamente tenere in considerazione la natura parlamentare dello stato né la figura stessa del presidente della repubblica, si tornasse a votare.

E la cosa più folle non è che tutto questo Salvini lo abbia pensato, ma che stava per riuscirgli.
E se non gli è riuscito non è perché la norma e la prassi costituzionali hanno avuto la meglio, non perché Conte si è messo totalmente di traverso rendendo impraticabile la strada del rimpasto ai Cinquestelle. Ma perché, resuscitato dalle follie di cui sopra, follia nella follia, o se si preferisce “metafollia”, si è ripreso la scena il più improbabile degli avversari di Salvini, ovvero Matteo Renzi.
Folle senza troppo da aggiungere il fatto che sia stato proprio Renzi, il nemico per antomasia dei Cinquestelle, l’incarnazione del male assoluto secondo Di Battista, a porre la prima pietra per il governo giallorosso. E folle con ancor meno da aggiungere che non il migliore, ma semplicemente l’unico – sottolineiamolo tre volte, l’unico – discorso di denuncia contro la violenza razzista dei proclami di Salvini lo abbia fatto, in sede parlamentare, sempre Matteo Renzi, ovvero il leader della corrente più “a destra” del Partito Democratico.

Ché Salvini, lo ripeto, di tutta questa follia non è che l’espressione più estrema, violenta, deleteria, deteriore e pericolosa. Ma non ne è certo l’unico generatore visto che, la follia, è dappertutto.
Così è folle che chi si appresta a diventare opposizione denuncia la nascitura maggioranza come un inciucio, un governo illegittimo perché non voluto dal popolo, fingendo di dimenticarsi che questa è la regola della repubblica parlamentare, da sempre, e soprattutto fingendo di dimenticarsi che il governo precedente, espressione del popolo, lo era forse ancor meno, visto che in teoria chi aveva votato Lega aveva votato anche l’intera coalizione di centrodestra, salvo poi vederla andare in frantumi subito dopo le elezioni.
Ed è folle questo continuo denunciare, più o meno da tutti, l’assurdità dell’attuale legge elettorale che non garantisce alcuna governabilità, fingendo di dimenticare che tutti, tranne LeU e Cinquestelle, questa legge elettorale l’hanno votata.
Ed è ancora più folle chi sbraita invocando una riforma che introduca il doppio turno, quando gli stessi sbraitanti sono gli stessi che hanno versato sangue per impedire l’approvazione dell’Italicum, ovvero una legge elettorale con doppio turno.
E molto più che folle è che una forza politica del parlamento, Fratelli d’Italia, invochi l’insurrezione di piazza dal Quirinale, contro le stesse procedure parlamentari che le permettono di esistere e di trovarsi a quelle consultazioni.

Ma folle, totalmente surreale, è anche che gli attori del nascituro governo giallorosso, ovvero coloro che per giustificare il novello matrimonio richiamano continuamente queste benedette prassi parlamentari, non facciamo altro, pure loro, che scavalcarle e ignorarle.
Follia pura, ad esempio, che al vertice decisivo per la nascita di una nuova maggioranza tra PD e Cinquestelle, abbia non solo partecipato, ma ne sia stato il protagonista, proprio Conte, il premier dimissionario, che in quel momento era ancora il premier di Salvini, ovvero il premier di quei provvedimenti che mezzo governo giallorosso chiedeva di superare come precondizione, e che formalmente, pur se indicato dai Cinquestelle, non era esponente di nessuno dei due partiti che dovevano trovare l’accordo.
Follia che questo accordo nasca dagli incontri tra Di Maio e Zingaretti, il primo che avrebbe fatto carte false per ritornare con Salvini e il secondo che avrebbe fatto carte false per tornare al voto.
E follia non è il fatto che il PD governi senza aver vinto le elzioni, ma che governi senza aver mai fatto un briciolo di opposizione degna di questo nome.

Uno scenario totalmente surreale in cui la follia suprema, ovvero che tutto questo debba rendere conto agli iscritti della piattaforma Rousseau prima che al parlamento, quasi passa inosservato.
Così come passano inosservati i diktat sempre più improbabili di Di Maio, gli ostacoli inventati di giorno in giorno da ambo le parti.
Del resto non sta succedendo niente di particolarmente nuovo o interessante, in questi giorni.
Si sta soltanto lavorando come pazzi per dar vita a un nuovo governo.
Facendo in modo, ovviamente, che sia il più debole possibile.

Amen.

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *