Mia Martini – “Almeno tu nell’universo”

Il grande Bruno Lauzi scrisse questo brano nel 1972, e dovette aspettare ben diciassette anni prima di vederlo finalmente eseguito e pubblicato in singolo.
Un po’ perché il tema della disperata ricerca di un punto di riferimento in un mondo ferocemente ondivago era, all’inizio degli anni ’70, ben poco sentito.
Ma soprattutto perché Lauzi l’aveva scritta proprio per lei, Mia Martini, Mimì, per quella sua voce graffiata ed esplosiva, spaventosa e dolorosa. Ma Mimì, ovvero l’interprete più sublime e potente della musica italiana, per molti di quei diciassette anni si sarebbe trovata ai margini della discografia italiana, ignorata, emarginata e cacciata per le più assurde e squallide superstizioni.
Un ostracismo così lungo (e così violento, grottesco e immotivato) che Lauzi stava per mollare. E nel pieno degli anni ’80, quando al contrario del decennio precedente la tematica della canzone divenne tristemente attualissima, i discografici iniziarono a proporla a molte interpreti.
Rifiutarono tutte.
Perché quelle parole e quelle note non erano nelle corde di nessuna. Solo in quelle di Mimì. Lei, sola, avrebbe potuto trasformare quel bel brano in un capolavoro di poesia dolente e straziante, urlato e sussurrato. Solo lei, cantandolo, avrebbe potuto apririci lo stomaco e frugarci dentro.
E per fortuna alla fine, come una sorta di dovuto risarcimento, la canzone tornò a lei nel momento stesso in cui riuscì a riproporsi sulle scene.
Era il 1989. Il muro di Berlino scricchiolava a ogni alito di vento, piazza Tienammen ribolliva di rivolta. E il bisogno di “un sole che splende per me soltanto come un diamante in mezzo al cuore”, dava altri colori – e altre angosce – al pastello stinto delle nostre esitenze…

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