Un ippopotamo a Firenze

Cosa diavolo ci fa un ippopotamo a Firenze?
È qui, nel mezzo della culla del rinascimento, da secoli.
Oggi lo troviamo al museo della Specola, imbalsamato e perfettamente integro.
Ippo, come affettuosamente lo chiamiamo da queste parti da oltre trecento anni, fu il primo della sua specie a varcare, in età moderna, le colonne d’Ercole e a sbarcare in Europa.
Correva l’anno 1677 e arrivò come gingillo per il Granduca Cosimo III, patito di piante ed animali esotici al punto da riempire il giardino di Boboli di gabbie per scimmie e pappagalli.
A fare l’eccentrico dono fu forse un non meglio identificato Visir, forse direttamente un sultano.
Fatto sta che Cosimo, volubile come i bambini con i suoi giocattoli, dopo i primi giorni di entusiasmo, ben presto smise di curarsi di Ippo, che visse il resto dei suoi giorni (molto pochi, viste le difficoltà di abituarsi al nuovo clima) dentro una vasca di Boboli, legato a una catena.
Ma le cattiverie sul povero Ippo non finirono con la morte. Se infatti andate alla Specola (o più semplicemente guardate con attenzione la foto qui sotto), noterete che le zampe non sono affatto quelle di un ippopotamo, ma quelle di un cane.
A fare l’assurdo assemblaggio però non fu uno psicopatico dottor Frankenstein ante litteram, ma un innocente e incolpevole artigiano.
Del resto Ippo, quando lo incaricarono di imbalsamarlo, glie lo consegnarono senza gambe. E lui poveretto, che un ippopotamo non lo aveva mai visto, gli appiccicò quelle di un cane.