“2001 Odissea nello spazio”: l’alba dell’umanità
Nelle scuole e nei manuali di cinema si insegna (giustamente) come la narrazione per immagini si basi essenzialmente sull’ellissi, ovvero sul salto temporale da una sequenza all’altra.
Ecco, l’immenso Stanley Kubrick in “2001 Odissea nello Spazio” compie quella che, a mio avviso, è senza dubbio e in assoluto l’ellissi più vertiginosa, potente e azzeccata della storia del cinema.
In questa pazzesca, allucinata e lisergica meditazione sull’umanità che distrugge sé stessa in virtù dell’incapacità di usare a fin di bene la propria intelligenza e la propria sbalorditiva capacità di progredire tecnicamente, Kubrick prima ci spiazza e ci sgomenta iniziando un film ambientato nel futuro con una lunga sequenza dedicata agli albori dell’umanità, dove una primordiale comunità di ominidi scopre come trasformare utensili in assurdi e spietati strumenti di morte.
L’origine della violenza nella frantumazione di un osso, commentata dalla solennità imperiosa e inquietante dello “Zarathustra” di Richard Strauss.
Poi, quello stesso osso, lo vedremo volteggiare in cielo e trasformarsi in astronave, al ritmo del valzer viennese di un altro Strauss, Johann.
Un’ellissi di centinaia di migliaia di anni.
Un capolavoro impossibile senza altro da aggiungere.
Una nota soltanto: se amate questo film ma non avete mai avuto modo di vederlo sul grande schermo, tenete d’occhio i cineclub delle vostre città. Ciclicamente, lo ripropongono (a Firenze ad esempio, occhio al cinema Stensen e alla Cineteca Castello).
Vedrete un altro film e ve ne innamorerete ancora di più.
Vale davvero la pena.
Ma parecchio.