Cambio di programma

I passi in avanti ci sono, ma gli ostacoli, non proprio trascurabili, restano.
Nonostante i segnali di apertura e le parole di Fico che hanno definito l’esito del suo mandato “positivo”, la strada per un governo Cinquestelle – Partito Democratico è tutt’altro che in discesa.
Anzitutto, più che in evoluzione la situazione al momento è sospesa, congelata in attesa del 3 maggio, quando si riunirà la direzione del PD. Un vertice dall’esito affatto scontato, visto che nel PD, a differenza delle altre forze in campo, domina la logica delle correnti. Di conseguenza è abbastanza inutile chiedersi, oggi, quale sia la linea del partito, visto che una linea, semplicemente, non esiste. Occorre invece domandarsi quale corrente la spunterà sulle altre.
Ma anche se dovesse prevalere la linea della trattativa, il futuro resta incerto. Le forze in parlamento restano in maggioranza renziane, ovvero fortemente contrarie alla convergenza con i Cinquestelle: visto che parliamo di un partito rissoso, nato per unire ma la cui storia è fatta di scissioni e abbandoni illustri continui, la disciplina di partito a garantire stabilità governativa (nell’immediato ma soprattutto in futuro) resta una pura ipotesi.
Con tutto che, anche con un PD totalmente allineato sulla convergenza, i numeri dell’ipotetica maggioranza resterebbero molto risicati e molto lontani dal garantire effettiva stabilità.
Ma soprattutto resta irrisolta la questione, centrale ma al momento opportunamente dribblata dalle forze in causa, dei programmi, oggettivamente distanti. Abolizione del job act e della buona scuola sono stati alcuni dei cavalli di battaglia più battuti ed esibiti dai Cinquestelle in campagna elettorale: come è possibile portare avanti queste battaglie se l’esistenza del governo sarà assicurata dal partito che tali riforme le ha ideate, promosse e approvate?
Quanto sostengono illustri politologi, ovvero che i Cinquestelle, pur essendo partito liquido e privo di collocamento tradizionale, ha un fondo strutturale naturalmente sbilanciato a sinistra, probabilmente corrisponde al vero. Ma è indubbio che questo repentino cambio di programma, con una convergenza verso il partito contro cui si è combattuto per cinque anni senza esclusione di colpi, disorienta la base pentastellata. Un esempio: schiere di insegnanti, vista la buona scuola, hanno dato il voto ai Cinquestelle al grido “mai più PD”. E adesso?
Che l’accordo si trasformi in uno snaturamento dannoso per entrambi, difficile da far capire all’elettorato, è eventualità da non escludere.

Nel frattempo, mentre si attende la fine di questa ennesima infinita attesa, i toni restano quelli accesi e feroci della campagna elettorale (probabilmente l’unica cosa che l’attuale classe politica sa fare), ovvero fuoco incrociato a volontà e principi di realtà praticamente inesistenti.
Di Maio continua a rinfacciare a Salvini di non aver avuto il coraggio di rompere con Berlusconi. Ma perché avrebbe dovuto farlo? Perché rinunciare a guidare una forza al 37% per ritrovarsi a capo di un 17%?
Si continua inoltre a non riconoscere l’esistenza di un centrodestra. Ma le coalizioni sono previste dalla legge elettorale. Quindi non solo il centrodestra esiste, ma ha anche ottenuto il maggior numero di voti.
Di contro Salvini denuncia insistentemente lo scandalo di un possibile governo tra i secondi e i terzi classificati con l’esclusione dei primi. A suo dire un tradimento del volere degli elettori e una manovra antidemocratica. Una considerazione a dir poco assurda visto che è proprio la democrazia a far sì che non sempre vada al governo chi ha preso più voti, ma chi sia nelle condizioni di formare una maggioranza. Questo nel proporzionale, ma anche nei sistemi maggioritari non mancano esempi simili. Negli USA è capitato più volte che un candidato, pur prendendo meno voti del suo avversario, finisca alla Casa Bianca. Ultimo caso in ordine temporale quello di Trump, la cui elezione è stata salutato con grande entusiasmo da Salvini, che in quel frangente non ha proprio parlato di manovre antidemocratiche.

Le previsioni sul futuro continuano a essere difficili, dominate da incertezza e imprevedibilità.
Ma che questa eterna e insostenibile campagna elettorale termini una volta per tutte, è un auspicio sacrosanto che abbiamo tutto il diritto di augurarci.

#specialeElezioni2018
#resistenzeRiccardoLestini

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