Non c’erano i cornetti e così lo abbiamo massacrato

Se ne è parlato, se ne parla e probabilmente se ne parlerà ancora.
Perciò i fatti sono abbastanza noti: tre minorenni, due sedicenni e un quindicenne, lo scorso tre marzo alla periferia di Napoli, intorno alle tre di notte, hanno brutalmente assassinato Franco Della Corte, una guardia giurata di 51 anni, sfondandogli il cranio a colpi di bastone.
E ancora più agghiaccianti del fatto in sé sono le motivazioni, o meglio le non motivazioni, con cui i tre ragazzi, tutti rei confessi, hanno raccontato e spiegato il gesto alle autorità giudiziarie.
Inizialmente si era parlato del furto della pistola del vigilante, magari necessaria per compiere un altro atto criminale già progettato dai ragazzi. Si era parlato quindi di premeditazione. In realtà l’idea della pistola è stata estemporanea, arrivata a massacro in corso, o al massimo immediatamente prima.
Racconta il più piccolo dei tre: “Erano le tre di notte e volevamo andarci a comprare un cornetto alla cornetteria “Nuova Vita”, ma era chiuso. E allora, in considerazione dell’orario e del fatto che la cornetteria era chiusa, decidemmo che volevamo aggredire la guardia giurata di turno alla metropolitana”. E un altro aggiunge: “Cominciai a percuoterlo alla testa con il bastone. Sapevo che era armato, ma non avevo alcuna intenzione di sottrargli la pistola. Preciso che io colpii più volte, anche quando il vigilante era caduto a terra, perché avevo timore che potesse riconoscermi”.
Turbano e sconvolgono la freddezza e la lucidità prive di tentennamenti con cui i tre giovanissimi assassini ricostruiscono nei dettagli un episodio tanto grave e sconsiderato.
Ma ciò che annichilisce completamente è il vuoto assoluto, da brividi, che soffia nelle parole dei ragazzi. Un vuoto che nega a priori qualsiasi valore alla vita, tanto quella della vittima quanto quelle degli stessi carnefici, che nella più agghiacciante normalità giustifica un omicidio efferato con un riempitivo di tempo e spiega un massacro con un cornetto mancato. Una ferocia senza colore, quasi senza intenzione, e per questo ancora più terrificante.
Ma tutto questo non nasce dal nulla, ma da qualcosa di mostruoso e di orrendo a cui ancora non siamo stati in grado di dare un nome ma che è qui, attorno a noi, nell’aria imputridita che respiriamo. Un qualcosa che ha tolto il fiato alla bellezza e la parola a valori e sentimenti, che ha privato di senso ogni cosa condannandoci, nella più totale indifferenza, nella più violenta apatia, al nulla assoluto.
Quando lo scrittore Anthony Burgess prima e il regista Stanley Kubrick poi, all’inizio degli anni settanta con “Arancia Meccanica”, dipinsero con uno spietato surrealismo visionario un ipotetico futuro cupo e decadente, dove una gioventù cresciuta e nutrita da una società definitivamente disumanizzata si abbandona alla brutalità della “ultraviolenza” sistematica senza altro perché che non sia la cinica e feroce affermazione dell’inutilità dell’esistere, forse volevano metterci in guardia sull’arrivo di questa tempesta di cui allora se ne coglievano soltanto gli embrioni.
Ecco forse quell’ipotetico futuro si è definitivamente fatto presente.
E non abbiamo la più pallida idea di come combatterlo.

#resistenzeRiccardoLestini

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