I dibattiti negati

Berlusconi, che piaccia o no, lo si voglia a no, continua a fare scuola.
Ancora una volta, per l’ennesima volta, le sue strategie politiche e di comunicazione si rivelano precorritrici dei tempi, destinate a essere riproposte e replicate all’infinito dagli altri leader politici.
Fu lui, diciassette anni or sono, a inaugurare la prassi del confronto negato. Allora, anno 2001, coi sondaggi che lo davano in assoluto vantaggio sul candidato dell’Ulivo Francesco Rutelli, Berlusconi seppe abilmente sottrarsi alle continue richieste – dell’avversario ma anche dei media – di un confronto televisivo.
Troppo rischioso, secondo il cavaliere, il faccia a faccia. Rischiava inutilmente di bruciare il comodo vantaggio di cui godeva. Molto più produttivo, in termini di consensi, prestarsi a lunghi monologhi senza contraddittorio (sempre quello fu l’anno del celebre contratto con gli italiani firmato negli studi di Bruno Vespa).
Una strategia che risultò molto più che vincente: quell’ampio vantaggio, la sera delle elezioni, era diventato un abisso.

Una lezione di tattica che Romano Prodi non seppe (o non volle, vista la natura ben diversa del personaggio) capire, visto che cinque anni più tardi, con una situazione ribaltata (ovvero col centrosinistra in ampio vantaggio sul centrodestra), il professore accettò di buon grado il confronto televisivo col cavaliere.
Prodi aveva tutto da perdere in quel faccia a faccia e così fu: vinse le elezioni, ma di un soffio, un margine minimo che avrebbe appeso a un filo il suo esecutivo. Gran parte di quell’insperato recupero al fotofinish di Berlusconi, fu dovuto proprio a quel duello TV.
E fu una nuova lezione: solo chi insegue deve cercare il confronto.

Non a caso quello del 2006 fu l’ultimo faccia a faccia della nostra recente storia politica.
Nel 2008, con Berlusconi di nuovo in vantaggio, fu Veltroni a chiedere il confronto. Una richiesta cui Berlusconi, ovviamente, si negò.
Mentre nel 2013, in una situazione in cui nessuno godeva di un vantaggio consistente, tutti giocarono in difesa e le condizioni per un confronto pubblico non si posero nemmeno.

Oggi, 2018, la storia si ripete.
Renzi, precipitato nel ruolo di inseguitore, chiede da mesi faccia a faccia a tutti gli altri leader.
Richieste in parte ignorate e in parte prima accettate e poi rinnegate.
In ogni caso, nessun confronto.
Prima Di Maio e poi Salvini, che da un dibattito pubblico, essendo in vantaggio, avrebbero tutto da perdere, si sono rifiutati (mentre tra centrodestra e Cinquestelle, dove la situazione è molto in bilico, il confronto non è nemmeno un’ipotesi).
Certo lo stile e l’abilità di Berlusconi, nel declinare gli inviti, erano tutt’altra storia. Altra pasta e altri tempi.
Anche perché sia Di Maio sia Salvini, in un primo momento, il confronto lo avevano accettato.
Poi qualche consulente e consigliere deve avergli ricordato la storia più recente, spiegato come funziona e convinti a rinunciare.

In ogni caso, da qualsiasi punto di vista si guardi la cosa, dispiace.
Dispiace questo vuoto, questa assenza di confronti e questo abuso di monologhi. Anche i talk show paiono rassegnati, e alla tradizionale scenografia del salotto hanno introdotto la sfilata degli ospiti uno dopo l’altro, da soli, senza interazioni né contraddittori.

Dispiace soprattutto perché tutti, a partire proprio dai leader politici, parliamo continuamente di democrazia, ne denunciamo l’imperfezione e gridiamo come ne vorremmo una migliore e più compiuta.
E i dibattiti e i confronti pubblici – guardare all’estero per credere – di quelle regole democratiche che invochiamo (e che invocano) di continuo, sarebbero – almeno in campagna elettorale – il sale e l’espressione più trasparente.

#specialeElezioni2018
#resistenzeRiccardoLestini

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