Lo smartphone in classe (lettera aperta alla ministra Fedeli)

Spett.Le Ministra Fedeli,
insegno Lettere nelle scuole superiori da quasi tredici anni. Che non sono tantissimi, ma non sono nemmeno pochi. E in tredici anni, tra continui rivolgimenti e aggiornamenti, riforme abortite e riforme attuate, rivoluzioni annunciate e mai realizzate, rincorse, aggiustamenti, tappabuchi e problematiche sempre nuove, uno dei pochi punti fermi in cui i miei colleghi ed io ci siamo visti costantemente impegnati è stata la battaglia contro l’uso dei telefoni cellulari in classe.

Una battaglia quotidiana e incessante fatta di infiniti allarmi, discorsi, disposizioni dall’alto, convegni sul tema, decine e decine di circolari infuocate e, soprattutto, di un tempo davvero incalcolabile trascorso in classe a parlare, sorvegliare, richiamare, minacciare, sanzionare.
Una battaglia quasi sempre impari e frustrante, portata avanti tra le continue limitazioni disposte dalla legge (l’impossibilità di sequestrare il cellulare durante l’orario di lezione, ad esempio) e, molto spesso, nell’assenza di collaborazione da parte delle famiglie (non conto più davvero quante volte mi è capitato, o mi è stato raccontato da un collega, che un padre o una madre abbia telefonato al figlio o alla figlia durante le ore di lezioni, e che poi magari sia venuto a protestare perché abbiamo impedito al ragazzo di rispondere).
Una battaglia, caso più unico che raro, che comunque ha visto sostanzialmente concorde l’intero comparto scuola, dagli ispettori ai dirigenti, dai docenti al personale ATA. Non ricordo davvero un Collegio Docenti di inizio anno in cui il preside non ci abbia invitato a contrastare l’uso del cellulare in classe, così come non ricordo un regolamento d’istituto privo di questa norma.
Una battaglia che, in definitiva, è stata sempre una priorità disciplinare.

I perché di tutto questo credo siano abbastanza lampanti. Lasciando stare la possibilità di copiare e scaricare soluzioni durante i compiti in classe (che comunque è, almeno a mio avviso, l’aspetto meno grave e più trascurabile), lo smartphone – soprattutto nelle sue ultime evoluzioni tecnologiche – è quanto di più lontano e contrario ci possa essere rispetto a un ambiente scolastico. Un dispositivo che consente di telefonare, usare servizi di messaggeria istantanea e chat, navigare liberamente e senza alcun controllo in rete, scaricare giochi, fare foto e video di nascosto e, non da ultimo, alienarsi completamente dal contesto della classe e della scuola.

Adesso però, tredici anni, sette ministri e oltre duemila giorni trascorsi in classe dopo, Lei, di colpo e d’improvviso, mi e ci viene a dire che lo smartphone può essere un utile strumento didattico e che quindi, di conseguenza, il suo utilizzo in classe deve essere consentito.
Visto quanto premesso, potrà ben comprendere, egregia Ministra, il nostro spaesamento davanti alla Sua dichiarazione. Soprattutto, potrà ben comprendere la nostra contrarietà.
E questo, si badi bene, non perché le cose, quali che siano, debbano restare immutabili nei secoli, non perché non si possa rivedere, correggere o anche stravolgere e ribaltare quanto detto e fatto in precedenza.
Tutt’altro. La contrarietà di fondo dipende dal fatto che, a suffragio della Sua dichiarazione, non c’è – né pare di intravederne in lontananza – una spiegazione degna di questo nome. E intendo una spiegazione scientifica, psicologica e didattica su quali siano, o possano essere, questi presunti benefici circa l’utilizzo del telefonino in classe. Una spiegazione approfondita, ponderata e argomentata da cui possano a loro volta scaturire dibattiti, discussioni, ipotesi.
Visto che stiamo parlando di aspetti così importanti e delicati come la scuola, l’educazione, la formazione, la crescita e lo sviluppo, pretendere – da insegnante – una spiegazione del genere mi pare davvero il minimo.

Invece, nonostante la necessità di simili approfondimenti e argomentazioni, l’unica spiegazione giunta da Lei e dagli esegeti del Ministero che Lei rappresenta, è una generica, frettolosa e confusa “necessità di rinnovamento e di aprire la scuola alle nuove tecnologie”.
Mi dispiace gentile Ministra ma, oltre a non bastare, è una risposta (o meglio una “non risposta”) sinceramente offensiva dell’intelligenza e della professionalità di noi insegnanti.
Non solo. Oltre alla risposta mancata, l’attacco. Chi, come il sottoscritto, osa esprimere fondate perplessità e legittimi dubbi, viene subito bollato, in maniera ancor più frettolosa, come docente “contrastivo” e “conservatore”, nemico del cambiamento, delle novità e del rinnovamento della scuola.

Ma vede, spettabile Ministra, l’insegnante (e non tanto io, ma proprio l’insegnante in quanto tale), al di là delle critiche che quotidianamente gli piovono addosso, è tutt’altro che conservatore. E non lo è suo malgrado, visto che col nuovo è costretto a misurarsi ogni giorno: il nuovo dell’imprevisto continuo che lo stare in classe comporta, il nuovo del doversi continuamente adattare e reinventare in un sistema, quello scolastico, ormai privo di punti fermi, che costringe a improvvisare e a navigare a vista tra problemi sempre diversi e sempre più difficili da risolvere.
Quanto al “nuovo” rappresentato dalla tecnologia, non devo essere certo io a ricordarLe come la scuola “2.0”, rinnovata e aperta alle nuove forme di comunicazione e ai nuovi dispositivi, c’è già e da molto tempo.
Peccato solo che sia rimasta sulla carta, un qualcosa di puramente ipotetico.
Peccato solo che questa scuola “2.0” di fatto non esista. E non certo per colpa degli insegnanti “contrastivi” e “conservatori”.
Da tempo è stata annunciata la rivoluzione delle Lavagne Interattive e Multimediali. Dove sono? Perché, ad andare bene, ce n’è una ogni dieci classi? Perché io continuo ad usare gesso e cancellino?
Da tempo è stato annunciato l’avvento del registro elettronico, della connessione a banda larga e wi fi in tutte le scuole. Perché queste connessioni funzionano poco e male? Perché anche il solo segnare assenze e presenze diventa spesso un problema insormontabile?
Dove è finito quell’annuncio in pompa magna che voleva fornire un tablet per uso didattico a ogni singolo studente?
Chi è che ha sbandierato questi cambiamenti, ha rimodellato programmi, progetti e attività didattiche e poi non ha investito i soldi necessari per renderli effettivi?
Di certo tutto questo, gentile Ministra, non è una Sua responsabilità diretta.
Ma sorge quanto meno il sospetto che questa “uscita” relativa allo smartphone, così istantanea e repentina, così spudoratamente nuda e priva di reali motivazioni, sia l’ennesimo tappabuchi a un sistema che non riesce a rimediare le falle da esso stesso generate.
Sorge quanto meno il sospetto, in sostanza, che l’improvvisa scoperta della valenza didattica dello smartphone altro non sia che un modo per risparmiare: non potendo investire denaro per creare quella “scuola del futuro” che comunque si continua lo stesso a sbandierare, non potendo investire denaro per quei dispositivi di cui la “scuola del futuro” avrebbe bisogno, ecco che si scopre la funzione educativa dello smartphone, un oggetto già a disposizione di tutti gli alunni e di tutte le famiglie. Costo zero e parvenza di scuola “innovativa”.
Senza dubbio è un mio cattivo pensiero. Ma, diceva il vecchio adagio mai passato di moda, “a pensar male si fa peccato, ma spesso…”.

Io comunque non demordo e resto, egregia Ministra, in attesa di quelle spiegazioni e di quei dibattiti cui penso di avere sacrosanto diritto.
Da sempre convinto che la scuola migliore sia quella capace di insegnare il dubbio e che la peggiore nemica di crescita e sviluppo sia la semplificazione che non ammette perché,
Le porgo i miei più cordiali saluti,

Firenze, 24 settembre 2017

Riccardo Lestini, insegnante

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