… SCOPARE, ALLA FINE, SEMBRA SIA L’UNICA COSA CHE CONTA…

Questa almeno è l’impressione, immediata ma abbastanza forte da non spegnersi tanto facilmente in seguito, che si ha al primo approccio con la ri-lettura in forma di graphic novel del romanzo culto degli anni ’70 “Porci con le ali”.

Quest’anno il romanzo a firma Rocco e Antonia (in realtà Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, che non si ‘anonimizzarono’ dietro i nomi dei protagonisti per pudore, ma per sottolineare l’intento di un’opera dal respiro collettivo e generazionale) compie quarant’anni.

Un romanzo, per forza di cose, iper-ultra-contestualizzato.
Nel senso: un’opera con protagonisti due adolescenti, extraparlamentari di sinistra, nel ‘rovente’ 1976 è, per forza di cose, strettamente legata a quel periodo così particolare, così irripetuto e irripetibile, al punto che è difficile – impossibile forse – scinderla da quel contesto, trasporla, tentarne una lettura a-storica.

Eppure, sorprendentemente, non è una di quelle opere destinate a morire col distanziarsi – e il farsi progressivamente incomprensibile tanto nei dettagli quanto nei grandi scenari – dell’epoca in cui è stata scritta, destinate inesorabilmente a datarsi.
Nonostante questo suo essere invischiata nell’extraparlamentarismo e nelle velleità rivoluzionarie e piccolo borghesi (i due adolescenti sono, ovviamente, studenti del Mamiani) della metà dei ’70, è un romanzo (anche se autori ed editori, all’epoca della prima edizione, vollero sottolineare la dicitura “diario” accompagnata dal “né romanzo né libello”) che ha senso leggere ancora oggi, non in quanto documento storico di un’epoca passata, ma proprio perché conserva, assolutamente intatto, il suo senso più ultimo e profondo.

Io, che ho la stessa età del romanzo, assieme ai miei coetanei lo lessi a quindici-sedici anni, biennio 1991-1992, molto più che sei oceani di distanza dalle lotte degli anni ’70.
Eppure, nessuno di noi lo trovò inattuale. Così come non penso nessuno dei sedicenni di oggi (che per il lavoro che faccio conosco molto bene) possa trovarlo datato o inattuale o incomprensibile adesso.

Certo, ci sono dei dettagli che possono sfuggire o di difficile immaginazione/immedesimazione. Ad esempio la centralità di discorsi sulla ‘sessualizzazione dei rapporti di amicizia’, espressioni come ‘uso parziale alternativo’ e tante altre.
Ma rientra, né più né meno, nella logica di ogni romanzo che iddio mette in terra, inesorabilmente figlio della propria epoca e, per questo, pregno di particolari di quel tempo che, pur se non colti nell’immediatezza dalla totalità dei lettori, non ne compromettono in nulla la comprensione e, soprattutto, il suo stare pienamente anche nei tempi attuali.

La versione “graphic novel” (tra l’altro, mi riprometto a breve una seria riflessione su questa orrenda espressione) uscita in questi giorni (proprio in occasione del quarantennale del romanzo) pare invece vittima proprio di questo gigantesco pregiudizio di partenza: che “Porci con le ali” sia, nell’accezione più negativa possibile, romanzo d’epoca, vecchio, inattuale.
Che la celebrazione del quarantennale non debba essere nel segno di un discorso che si rinnova e resta attuale pur nel passare delle generazioni, ma che, al contrario, debba consistere nello ‘svecchiamento’ di un pezzo ormai da museo.

Prima cosa, resta solo il titolo “Porci con le ali”, spogliato del sottotitolo (per me invece fondamentale) “diario sessuo-politico di due adolescenti”.
Sì, fondamentale. Uno perché ne caratterizza la natura (quel non essere “né romanzo né libello”, ma strano oggetto misterioso giustamente inclassificabile), due perché è proprio in quella necessaria specificazione, in quel “sessuo-politico”, che sta il suo senso più profondo.

“Porci con le ali” non è un libro sull’adolescenza. È l’adolescenza.
L’adolescenza vista dall’adolescenza, e quindi caotica, epidermica, umorale e ormonale. Una terra di sussulti e scompensi dove pubblico e privato si mescolano necessariamente e tragicamente, dove il sesso è paura e smania d’esperienza, terrore di non esserne all’altezza ma indispensabile termometro sociale di crescita e, soprattutto, di accettazione da parte degli altri e, ancora soprattutto, da parte di sé. Dove il sesso è per forza di cosa, nel farlo e nel non farlo, nel pensarlo e nell’implorarlo, elemento centrale del quotidiano. Una sorta di tornaconto della sfera privata degli affetti e di quella privatissima del proprio io che. Sfere che, parlando di adolescenze, sono per forza di cose un casino assurdo di sbalzi d’umore e insicurezze.
Soprattutto, insicurezze. Insicurezze e fragilità che si mescolano e si confondono con la propria dimensione pubblica, quel ‘che-farò-io-da-grande’ o ‘quel-posto-per-me-in-questo-mondo’ o ‘chi-sono-io-in-mezzo-a-tutta-questa-gente’ che proprio nell’adolescenza inizia a porsi drammaticamente.
Negli anni ’70 questa sovrapposizione dei binari del pubblico e del privato, questa insicurezza in chi sono io nudo e chi sono io vestito, quali sono i miei appetiti sessuali e quali quelli cerebrali, era, come tutto, caricata di significati (e tentativi di risposte e definizioni) prettamente politici. Ma non per questo erano, come è sempre stato (se non proprio dalla notte dei tempi di certo dalla scoperta dell’inconscio in poi), questioni assolutamente esistenziali. Esistenziali ed eterne.

Ecco, “Porci con le ali”, oltre che un libro splendido (ma questo è il mio giudizio personale), è tutto questo. È questa fragilità e questa potenza.
È questa infinita e tremante crudeltà dell’avere sedici anni. E dovere e volere (soprattutto volere) vivere nonostante tutto.
Che tutto intorno ci siano gli anni ’70 con le bandiere rosse, il linguaggio del tempo (‘non radicalizzarmi per favore’) e il sogno del sol dell’avvenire, sinceramente poco importa e può (forse deve) restare questione marginale.
Non a caso la scena madre è quella della manifestazione, capitolo 6, dove i due si sviscerano l’anima senza dirsi niente, in un muto dialogo al bar, davanti a un cappuccino, mentre al di là della vetrina continuano a sfilare i cordoni del cortei, i pugni chiusi… generalmente, tutte le “scene madri” del libro seguono questo schema di intimità dei due protagonisti “al di fuori del mondo”, in una specie di universalismo sospeso, mentre la storia contingente e materiale gli sfila alle spalle, sullo sfondo.

Per questo la versione graphic novel non ci è piaciuta, non ci è piaciuta per niente.
Perché non c”è nulla di tutto questo.
Nulla di questa eterna crudeltà adolescenziale, nulla di questa fragilità, nulla di queste paure di vivere, di sbagliare, di essere qualcosa. Nulla.
Ma tolto tutto questo – e tolto pure il contesto storico – “Porci con le ali” resta una sequenza di esperienze sessuali di vario genere (masturbatorie, etero, omo… ) raccontate con dovizia di particolari e parole crude che, all’epoca, destarono scandalo e scalpore.

E, purtroppo, è quello che è questa graphic novel: un fumetto sulle esperienze sessuali di due adolescenti, nulla più. Per paura che il romanzo sia vecchio e indigesto, il fumetto spoglia la storia di tutto ciò che avrebbe ancora da dire, conservando l’unica cosa con cui, in termini di attenzione (e quindi di vendita e di mercato) si va sempre sul sicuro: il sesso senza troppe implicazioni.
… ché scopare, davvero, pare sia l’unica cosaa che conti…

Peccato. Poteva essere interessante – e culturalmente coraggioso – riscoprire “Porci con le ali”.
Riscoprirlo veramente, s’intende.

Per quanto conti la nostra opinione, si consiglia di stare alla larga dal fumetto.
E, se possibile, quest’estate, leggere il romanzo.
Specie se avete meno di vent’anni.

#resistenzeRiccardoLestini

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