Leggere o non leggere il “Mein Kampf”

Si è discusso e si è polemizzato molto in questi giorni, dopo la decisione de “il Giornale”, attorno al “Mein Kampf” di Hitler, circa l’opportunità di leggerlo o meno, distribuirlo o meno, parlarne o meno.

Una polemica a mio avviso decisamente sterile e sostanzialmente inutile: non tanto perché non si debba discutere di certe questioni (anzi, credo al contrario se ne parli sempre troppo poco), quanto perché i termini della discussione, sempre a mio avviso, non affrontano affatto il cuore del problema, ma ci allontanano da esso, generando ancora più confusione.

Partiamo da una considerazione semplice, se non addirittura elementare: il “Mein Kampf” si trova in qualsiasi libreria italiana, in varie e svariate edizioni, così come è tranquillamente acquistabile on line, su Amazon o su altri bookstore simili. In altre parole: non è che “il Giornale” abbia disseppellito chissà quale opera proibita, scandalosa, introvabile e vietata dalla legge. Le case editrici lo stampano da decenni e, chiunque voglia leggerlo, da decenni può farlo senza alcun problema.

Seconda considerazione, altrettanto semplice ma meno oggettiva e più personale: non c’è, secondo me, alcun valido motivo per cui un libro simile non debba essere stampato e non debba essere letto.

Prima di tutto per il suo valore storico. Si tratta, in ogni caso, di una fonte diretta (senza dubbio la più importante e decisiva fonte diretta) di uno dei fenomeni più importanti e dibattuti della storia mondiale del ‘900: come sarebbe possibile privarsene?

Ma, storiografia a parte, c’è anche un discorso puramente etico. Vale a dire: sono proprio i regimi totalitari a proibire i libri. Il nazismo in particolare, che del rogo dei libri “indesiderati” ne fece uno dei punti di forza della propria propaganda.

Sarebbe una gigantesca contraddizione essere antitotalitari e antinazisti finendo per esercitare a nostra volta censura e oscurantismo.

Al contrario, per comprendere l’orrore nazista (e rifiutarlo), io penso davvero non ci sia niente di meglio che leggere il “Mein Kampf”.

Ma il problema è proprio questo (ed è qui che l’infinito dibattito di questi giorni, erroneamente, non si è soffermato per niente): noi, in quanto società, non abbiamo un rapporto “sano” con la storia in generale e con la nostra storia in particolare.

Mi spiego niente: una società, un popolo intero, reduce da una dittatura con tutto ciò che ne consegue, da una guerra, da un’occupazione straniera e da una guerra civile, per ricostruire e ricostruirsi ha bisogno di un percorso necessario, indispensabile e doloroso di analisi di se stesso, nel quale accerti e accetti anzitutto le proprie colpe e le proprie responsabilità.

Un percorso che noi società e noi popolo, non abbiamo mai fatto. Né allora, né mai.

Ci siamo limitati a seppellire tutto in fretta e altrettanto in fretta a dimenticare, a voltare pagina senza aver né risolto veramente né, soprattutto, capito.

Con la conclusione che oggi noi (dove per noi, lo scrivo per l’ultima volta, intendo sempre la nostra società presa nella sua interezza) non abbiamo affatto gli strumenti per poter parlare del “Mein Kampf” in maniera seria, approfondita e distaccata, collocarlo nella sua prospettiva storica, indagarlo come fonte. Noi siamo così a digiuno di processi di storicizzazione collettiva che non siamo nemmeno in grado di fare la cosa più ovvia e scontata del mondo: condannare i totalitarismi. Viceversa, li trasformiamo in discorsi da bar, in risse da due soldi, denigriamo uno per esaltare, implicitamente o esplicitamente, l’altro, prendiamo la nostra storia con la logica della tifoseria da stadio. E siamo incapaci, completamente incapaci, di uscire da questa terrificante superficialità di giudizio e prospettiva.

E l’operazione de “il Giornale” non fa eccezione, ma rientra perfettamente in questa logica.

Per questo, nonostante come già detto ritenga importante, se non addirittura indispensabile, la lettura del “Mein Kampf”, l’iniziativa del quotidiano diretto da Sallusti non serve a nulla in questo senso: è superficiale, stupidamente provocatoria, ambigua e capace solo di sviluppare dibattiti altrettanto superficiali e altrettanto ambigui. E, spesso e volentieri, altrettanto stupidi.

Dibattiti così superficiali da non entrare mai nel merito di cosa sia il “Mein Kampf”, senza – e qui l’aspetto più tragico di tutta la faccenda – che la maggior parte di coloro che ne discutono, sappiano minimamente di cosa stiano effettivamente parlando. Chiediamoci infatti questo, soprattutto questo: tutti parlano di “Mein Kampf”, ma quanti lo hanno effettivamente letto? Quanti ne hanno effettivamente letto anche solo un capitolo, un paragrafo? Quanti ne conoscono effettivamente la forma e il contenuto?

Credo pochi, molto pochi. Ma la disinvoltura nel parlare senza alcuna cognizione di causa, per riassunti sommari, sentito dire e via dicendo fa sì che non sia ritenuto così importante leggere un qualcosa per poter pretendere di conoscerlo e discuterne.

Peccato. Se lo leggessimo, il “Mein Kampf”, se lo leggessimo veramente, oltre a capire – come già detto prima – tutta la follia orrenda e devastatrice del nazismo, scopriremmo e capiremmo molte altre cose. Importanti e determinanti.

Ad esempio che il “Mein Kampf” non è affatto un saggio di filosofia politica, come spesso viene superficialmente catalogato. Esso è piuttosto una sorta di “Bibbia laica”, un libro dall’impianto decisamente messianico e profetico, dove non si presenta e si spiega una dottrina politica, ma si annuncia un Verbo, una Religione, dove il programma politico è una vera e propria annunciazione di un mondo che verrà e dove, non da ultimo, il filo conduttore non è l’analisi della società, ma l’autobiografia dell’autore, che si presenta come Profeta, Messia e, interpretando a suo modo Nietzsche, come Superuomo.

In “Mein Kampf” il nazismo non è un’ideologia, non è un governo. È una fede, un rito per iniziati.

E questo, oltre che a mettere in luce la follia delirante di Hitler, ci spiega anche l’origine di quella sorta di “allucinazione collettiva” del popolo tedesco, un improvviso, istantaneo e brevissimo delirio mistico di una nazione che non ha eguali nella storia degli altri totalitarismi dell’epoca. Un aspetto indispensabile per capire cosa fu il nazismo per e nella Germania, come si insinuò nel tessuto sociale e nelle coscienze dei singoli.

Ultima considerazione, per concludere.

Oltre a sviluppare un innato e naturale antinazismo, un innato e naturale rigetto per razzismi, violenze e dittature, la lettura integrale di quel libro folle e tragicamente grottesco porterebbe alla luce alcune questioni scomode che no, davvero nessuno ha interesse che vengano sollevate.

Come ad esempio il passaggio in cui Hitler, gettando le basi per la futura “soluzione finale” con cui intendeva eliminare la razza ebraica dal pianeta, dichiara di ispirarsi completamente a un’altra soluzione finale conclusasi con pieno successo: lo sterminio di 18 milioni di nativi americani sistematicamente progettata dal governo statunitense.

Quindi no, nessuno ha interesse che si legga davvero e per intero un’opera come il “Mein Kampf”.

Così come nessuno ha interesse che si conosca davvero e per intero la storia.

Meglio i riassunti raffazzonati, le summe trancianti e spicciole.

Meglio i dibattiti da bar. Meglio l’ignoranza.

E meglio la superficialità.

Che a saperle e ad approfondirle, le cose, capace che qualcuno inizi a volerle cambiare sul serio.

#resistenzeRiccardoLestini

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