La spaventosa maledizione della Berta

berta-santa-maria-maggioreCapita che, venendo a Firenze, si resti giustamente storditi dal pazzesco affollamento di meraviglie in un perimetro pressoché minuscolo quale è il nostro centro storico.
Così capita che il visitatore, ubriaco di Palazzo Vecchio, Santa Croce, il Duomo, il Battistero, Ponte Vecchio, gli Uffizi, la loggia dei Lanzi e chi più ne ha più ne metta, non abbia modo di fare caso ai dettagli.
È inevitabile che sia così, eppure è un peccato, perché Firenze è piena di dettagli minuscoli e splendidi, quasi invisibili a un primo sguardo ma interessantissimi.

Tra questi c’è senza dubbio quella che da queste parti siamo soliti chiamare “la Berta”.
Trattasi di una piccola – che a un primo sguardo, appunto, solitamente sfugge – testa di pietra (la vedete in foto) incastonata nella parte alta della torre campanaria della chiesa di Santa Maria Maggiore, che si affaccia sulla centralissima via de’ Cerretani.

Ora, la domanda è: che diavolo ci fa una testa di pietra in mezzo a una torre campanaria? Che senso ha?
Orbene, dietro questa piccola testa di pietra c’è una leggenda spaventosa e terrificante, cupa come Firenze che, benché ci si ostini a chiamarla “culla del Rinascimento”, è – non mi stancherò mai di dirlo – città prettamente fosca e medievale.

Correva l’anno 1327, giorno 16 settembre per l’esattezza.
Tutto il popolo fiorentino si è accalcato in strada per seguire la tremenda marcia verso il rogo di un condannato a morte. Egli risponde al nome di di Francesco Stabili, meglio conosciuto come Cecco d’Ascoli, poeta, insegnante, astronomo e astrologo. Lo sventurato, interrogato l’anno prima dal duca di Calabria sul futuro della sua piccola nipote (la futura regina di Napoli), aveva avuto l’ardire di predire che la bimba sarebbe stata, da adulta, “proclive a libidine”.

Cecco d’Ascoli (che se non lo conoscete mi permetto di consigliarvi di leggere il prima possibile i suoi versi irriverenti, in particolar modo il caustico trattato scientifico in sestine “L’Acerba”) di fatto ci aveva azzeccato: la piccola Giovanna per la sua condotta licenziosa sarebbe stata addirittura scomunicata da papa Urbano VI.
Il duca di Calabria però, non prese troppo bene la profezia e tanto fece per vendicarsi dell’astrologo impertinente, che riuscì a convincere l’arcivescovo Accursio a mettere sotto processo Cecco d’Ascoli, con svariati capi d’accusa a suo carico, ma in particolar modo per “errori contro la fede”, reato gravissimo per l’epoca.

Il processo, tenutosi a Firenze, vide l’imputato come suo solito sfrontato e riluttante (le cronache raccontano come a ogni domanda rispondesse sempre nello stesso modo: “l’ho detto, l’ho insegnato e lo credo!”). E, inutile dirlo, si concluse con l’inevitabile condanna al rogo.

Il giorno dell’esecuzione, 16 settembre 1327 appunto, faceva ancora molto caldo. Era stata un’estate torrida e senza piogge e, per di più, la folla accalcata per vedere il condannato, alzava continuamente nuvole di polvere che serravano il respiro e seccavano la gola.
Si narra che proprio mentre il carro del condannato stava passando accanto a Santa Maria Maggiore, Cecco d’Ascoli chiese dell’acqua. E, udita la sua richiesta, da una finestra del campanile della chiesa, una donna – chiamata appunto Berta – gridò alla folla di non dar da bere per qualsiasi ragione al mondo all’infame alchimista. Si credeva infatti, all’epoca, che gli alchimisti potessero trarre poteri demoniaci dagli elementi naturali, e la Berta temeva che Cecco, rinvigorito dall’acqua, potesse sfuggire al rogo.

“Se beve, non brucerà più!”, avrebbe gridato la donna.
Ma Cecco, levati gli occhi verso la Berta affacciata, avrebbe risposto: “E tu non leverai mai più la testa di lì!”.

Un grido trasformato di colpo in secolare incantesimo che pietrificò all’istante la testa della Berta che, settecento anni dopo, si trova ancora lì, ancora in attesa che qualcuno trovi il modo di liberarla.

‪#‎firenzemagica‬

#storieRiccardoLestini

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