Il problema mica è Checco Zalone

Il problema mica è Checco Zalone.
Il problema è chi ha insostenibile bisogno di costruire attorno a un film di successo infinite diatribe sui massimi sistemi.
Il problema è chi non riesce a vivere bene senza sezionare e incasellare qualsiasi cosa, da un film a una marca di scarpe, in qualche categoria precostituita.
Il problema è chi è malato di acuto complottismo e vede dappertutto messaggi subliminali.
Il problema è chi sa sempre tutto e, dall’alto di una cattedra celestiale ottenuta sulla base di chissà cosa, pretende di decidere cosa sia bello o brutto, cosa sia vedibile e cosa no, puntando il dito proprio contro altri che, a detta sua, fanno proprio quel che sta facendo lui nella sua predica didattico-moralizzatrice: decidono bellezza e bruttezza, cosa vedere e cosa no.
Il problema è chi ha così bisogno di sentirsi sempre allo stadio, di appartenere in ogni centesimo della sua vita a una tifoseria, che deve schierarsi a destra o a sinistra, in politica o in antipolitica, in populismo o in intellettualismo, anche se si parla di una commedia uscita per capodanno.
Il problema è chi deve per forza usare la parola “nazionalpopolare” come fosse una parolaccia.

Mi chiedo…. ma un film, un libro… devono per forza essere “socio-qualcosa” per ottenere la dignità di essere chiamati tali? Non possono essere semplicemente belli o brutti?
Un film o un libro devono necessariamente contenere un chissà quale altissimo insegnamento morale per l’umanità?
È così tragico rassegnarsi all’idea che esistano artisti – anche ottimi artisti – che scrivono, recitano e dirigono film e che scrivono libri al solo e unico scopo di divertire?
Qual era e quale è lo scopo di scrittori come Agata Christie o Stephen King se non quello di appassionare, tenere col fiato sospeso? E, restando nel terreno del cinema comico, qual era mai lo scopo di innumerevoli pellicole di Totò, Peppino De Filippo, Franco Franchi, Ciccio Ingrassia e via dicendo? (appunto per quelli che leggendo le righe precedenti si scandalizzeranno: non paragono Zalone a Totò e agli altri, non paragono nessuno a nessuno… ma ricordatevi che molti di voi che oggi si indignano per il successo di Zalone, sono esattamente i figli di quelli che negli anni ’50 si indignavano per il successo di Totò, salvo poi riabilitarlo nei salotti intellettuali subito dopo la sua morte… ovviamente trovando in “Totòtruffa” e in “Totò a colori” una quantità inenarrabile di implicazioni sociopolitiche).
È così tragico rassegnarsi all’idea che questo benedetto “Quo vado?” di Zalone sia nato esclusivamente per far fare due risate? Così tragico fermare il dibattito al semplice “mi fa ridere, vado” “non mi fa ridere, non vado” “mi ha fatto ridere” “non mi ha fatto ridere”?

Evidentemente sì, è molto più che tragico, visto che il dibattito ha fagocitato le colonne dei quotidiani quanto e forse più della bomba atomica in Corea del Nord.
Così per qualcuno è “chiaramente un film antirenziano” (Gasparri), “satira contro la riforma della Pubblica Amministrazione” (il Giornale), “pellicola antiriforme, che canta il disagio della gente stufa di certa politica” (Libero), “l’unico film che ha capito gli italiani” (sempre Libero).
Confuso, ma sempre presente nel dibattito, Brunetta, che ai tempi di “Sole a catinelle” aveva parlato di “filosofia serena dell’era Berlusconi”, mentre oggi dichiara che “Zalone è diventato un comico di sinistra”. Anche a sinistra qualcuno la pensa come Brunetta: “Checco Zalone è quasi comunista” (Giusti). Non manca, ovviamente, il complottismo: su “Italia Ora”, il giornalista Menna pubblica un articolo inchiesta su come il successo del film sia stato “pilotato da abili strategie di mercato”… peccato che al giornalista in cerca di scoop nessuno abbia ricordato che è dai tempi dei fratelli Lumière (e in generale dai tempi della seconda rivoluzione industriale per l’arte tutta) che la promozione di qualsiasi film risponde a precise strategie decise a tavolino da esperti del settore. Per altri, l’apocalisse è vicina, vicinissima, al punto che Lagioia su “Repubblica” mette in guardia sul “rischio di un qualunquismo dei buoni risolutivo a fin di bene”, mentre Jena su “la Stampa” ci va giù pesante gridando che “se milioni di italiani vanno a vedere Zalone, non meravigliamoci che al governo ci sia Renzi”.

Parafrasando proprio i pruriti di Jena (al secolo Riccardo Barenghi), concluderei dicendo – e ripetendo – che no, il problema della rovina dell’Italia non è né Checco Zalone né i suoi film.
Il segno della tragedia del nostro paese è tutto in questi atroci e assurdi dibattiti.

‪#‎resistenzeRiccardoLestini‬

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