Lo spettacolo sognato

I libri parlano. A volte accarezzano, più spesso sanguinano, piangono poi sorridono.
Amano e odiano, baciano e graffiano, ti cercano e ti abbandonano.
I libri sono violenti e dolorosi.
I libri sono vivi. Senz’altro.
Credo che molti di noi abbiano dentro di sé una intera biblioteca, percorsi e scaffali più o meno dolorosi dove i libri, anziché le sigle delle collocazioni d’archivio, rechino incisi sulla costola a caratteri invisibili e indelebili i segni delle tappe della propria esistenza: attimi immensi, viaggi, incontri, scoperte, delusioni, tradimenti, amori, quella volta in cui il treno ti portava lontano, la prima volta che sei stato veramente solo, la prima volta che hai visto sorgere il sole dopo una notte d’insonnia e follia.
A volte ci sono scaffali pieni di libri condivisi, pagine che per motivi incomprensibili appartengono a te e a chi ti ha saputo e voluto vivere, alla tua generazione, a quei momenti collettivi ed esaltanti. Altre volte sono solo tuoi e appartengono a quei silenzi dove germogliano e nascono emozioni e sensazioni indicibili.
Sarebbe bello disseppellire questi tesori. Scavare e restituire alla luce questi anfratti tortuosi ed eterni.
Sarebbe bello prendere una casa, un museo, un circolo, un qualsiasi luogo con molte stanze e riempirlo di queste biblioteche dell’anima.
Sarebbe bello mettere in ogni stanza un libro e mettere le sue parole, un suo episodio cruciale addosso a degli attori per una scena brevissima e folgorante.
Sarebbe bello aprire queste stanze a tutti e che invece di visitare una biblioteca muta, gli spettatori ne vedessero una parlante e recitante, e passando da una stanza all’altra seguissero il percorso di un’anima, episodio dopo episodio, sensazione dopo sensazione.
Nella mia sicuramente una stanza sarebbe tutta per Rimbaud, magari seduto con l’aria trasognata e il metto poggiato sulla mano e che poi dice a Verlaine “Elle est retrovée” e Verlaine risponde “Quoi?” e Rimbaud sentenzia “l’eternité”.
E una stanza sarebbe di sicuro per Kerouac, per Jack e Neal che in “On the road” sfrecciano e ridono e soffrono e vivono tra le strade assolate e bruciate della California e del Messico e poi “esplodono come razzi nel cielo e poi tutti fanno ohhhhh”.
E in un’altra stanza ci sarebbe di certo Molly Bloom distesa nel letto e nella penombra di una notte che non potrà mai finire che si muove e ricorda e sogna e gode e piange e ride e dice”sì disse che ero un fior di montagna 16 anni dio mio non avevo più fiato”. E accanto alla stanza di Molly per forza ci sarebbe il capitano Achab sfinito ma mai domo, che ancora suona la carica per prendere la balena bianca e Ismaele che stringe le spalle e continua a raccontare.
E poi in una stanza le prostitute e gli accattoni di Pasolini brucianti di miseria e stupore, nelle strade della dopostoria che gridano giustizia. E accanto i solitari eroi di Pavese smarriti tra città e campagna alla ricerca di un senso che non c’è.
E in un’altra stanza ancora Dora Markus allo specchio, le sue gambe lunghe e infinite, distante e irraggiungibile e Eugenio Montale che la guarda e sussurra “non so come tu stremata resisti in questo lago d’indifferenza che è il tuo cuore”.
E poi John Fante in una stanza immensa e vuota e Arturo Bandini che sogna e sogna e sogna tra Los Angeles e Bunker Hill. E ancora nella stanza accanto l’Emilia maledetta di Tondelli e i balordi del postoristoro nel crepuscolo degli anni ’70.
E forse, all’ultimo piano, l’ultimo Buendìa che decifra l’estrema pergamena e svela il segreto delle stirpi condannate a una solitudine lunga cent’anni.
E chissà quante altre stanze.
Quante altre?
Non lo so, ma di sicuro mi piacerebbe vedere uno spettacolo così.

Riccardo Lestini

‪#‎storieRiccardoLestini‬

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