La leva obbligatoria

Qualcuno ha ultimamente ripescato la proposta di reintroduzione del servizio di leva obbligatorio per tutti i 18enni con cittadinanza italiana.
Le principali motivazioni: la maggiore educazione al rispetto per il prossimo, allo spirito di sacrificio, alla generosità, che il serviio di leva impartirebbe ai giovani italiani. Il fatto che un anno passato “sotto militare” farebbe crescere, diventare uomini, recidere il cordone ombelicale con la famiglia, imparare a cavarsela da soli.
Tutte cose importanti, indispensabili, fondamentali per la crescita personale dell’individuo, per il suo inserimento nel mondo, nella società.
Ma non credo assolutamente siano valori che debba né soprattutto sappia impartire la vita militare, dodici mesi trascorsi nell’esercito.
Appartengo a una generazione che ancora aveva l’obbligo di espletare – a 18 anni o più tardi a seconda degli studi o meno intrapresi – l’anno di leva. Eppure, non ho visto nessun coetaneo tornare dal militare cresciuto, “uomo fatto” come si dice, indipendente e consapevole di sé e del mondo.
La maggior parte li ho visti tornare assolutamente identici a prima. Mi hanno raccontato la noia, il senso di inutilità, l’attesa sfibrante e impaziente del congedo come una liberazione. Chi è cambiato, semmai, è cambiato in peggio. Paranoie, depressioni, assurdi e feroci nonnismi subiti per mesi e mesi.
Al di là dei casi, io penso che l’educazione al rispetto per il prossimo, allo spirito di sacrificio e alla generosità, debbano essere la scuola e la famiglia a darli. Penso che simili valori imprescindibili per ogni individuo si trasmettano costruendo una società in grado di valorizzare, sostenere e mettere a frutto le ambizioni e le qualità di ogni singolo ragazzo, dando speranze e prospettive concrete per il futuro.
Il rispetto per il prossimo, la cognizione dell’altro, la consapevolezza di realtà diverse, non si ottiene chiudendo un ragazzo dodici mesi in una caserma, ma costruendo una società che dia ai giovani la possibilità di conoscere e vedere il mondo, viaggiare, parlare altre lingue e respirare altre culture, fare esperienze costruttive all’estero.
Lo spirito di sacrificio non si impara esercitandosi nei percorsi di guerra o marciando al passo dell’oca, ma educando al senso civico di responsabilità, all’importanza del lavoro, alla trasformazione dei propri talenti e delle proprie passioni in un mestiere. Fabbricando un tessuto sociale in grado di inserire da subito nel percorso di crescita di ognuno esperienze lavorative e produttive.
Non si recide la dipendenza morbosa e malsana dalla famiglia allontanando i ragazzi per un anno dalle loro case. L’indipendenza si costruisce giorno dopo giorno sin dall’infanzia, con un’educazione consapevole che non confonda la naturale protezione con la campana di vetro, l’affetto incondizionato con la protezione a oltranza. Si costruisce combattendo la disoccupazione e la distruzione del tessuto sociale, favorendo la possibilità di potersi permettere di vivere da solo, mantenersi, costruirsi una vita autonoma e indipendente molto prima dei trent’anni.
Niente contro chi sceglie di fare della vita militare il proprio mestiere, la propria missione. Ma che sia, appunto, una scelta e non un obbligo.

Un’ultima considerazione, strettamente personale.
Nonostante l’obbligatoreità della leva dei miei tempi, non ho fatto il militare.
Ho scelto altre strade.
Eppure, nonostante non abbia mai dormito dentro una caserma, nonostante non sappia nemmeno come si tiene in mano un fucile e non sia capace di sparare nemmeno al tiro a segno del luna park, il rispetto per il prossimo, lo spirito di sacrificio, l’indipendenza e la generosità sono i valori su cui ho fondato gran parte della mia esistenza.

RL

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