Per essere artisti bisogna chiedere alla polvere

Ordunque si parte in pompa magna, come si suol dire, discorrendo di un libro che è davvero qualcosina di più d’un capolavoro, e di uno scrittore che è molto più d’un artista.
Si parla di CHIEDI ALLA POLVERE, romanzo scritto e pubblicato nel 1939 dal grandissimo scrittore italo americano che risponde al nome di JOHN FANTE (1909-1983).
“Questo non è che l’inizio, ma potrei anche parlarti di una sera passata sulla spiaggia con una principessa bruna, parlarti della sua carne senza significato, dei suoi baci come fiori di cera, privi di profumo nel giardino della mia passione” (Fante, “Chiedi alla Polvere”)
Due paroline su Fante, per cominciare, che ci stanno come il cacio sui maccheroni, sempre come si suol dire. Ché la letteratura americana del ‘900, in Italia e in tutto il resto d’Europa, è stata pluricelebrata e osannata, forse pure troppo. Su colossi come Hemingway, Fitzgerald, Faulkner, Kerouac, Steinbeck, Salinger e compagnia bella, si son versati fiumi d’inchiostro, consumati inseguimenti e imitazioni d’ogni sorta, alzati monumenti e sciorinate fanfare.
Ma in tutto questo pandemonio di scrittori con la S molto più che maiuscola, il nostro John Fante è stato non tanto dimenticato, quanto letteralmente ignorato. In Europa di certo, ma anche negli USA non è che le cose gli siano poi andate tanto meglio. Al punto che molti suoi capolavori son rimasti INEDITI per tutta la vita dell’autore e pubblicati POSTUMI.
Tanto per dire, in Italia – nonostante le sue origini – Fante ci arriva solo negli anni ’90, dieci anni dopo la morte, grazie a piccole case editrici come la Leonardo e soprattutto come la mitica Marcos y Marcos.
In patria, vale a dire negli Stati Uniti, è un altro gigante il primo ad accorgersi della potenza spaventosa dei suoi scritti, il grande Charles Bukowski. Il vecchio zio Buck, che di letteratura ne capiva più di tutte le accademie letterarie del mondo messe insieme, nell’anno 1978 di nostro signore, dopo averlo incontrato e conosciuto, non esitò a definire Fante “il miglior scrittore che abbia mai letto”, e a impegnarsi e a fare carte false per pubblicare quel che di Fante è il capolavoro assoluto, “Chiedi alla polvere” appunto. Adirittura minacciò il suo editore che se non avesse ristampato gli scritti di Fante lui, lo zio Buck, si sarebbe rifiutato di consegnargli i suoi manoscritti.
“Dio Onnipotente, mi dispiace essere diventato ateo, ma tu hai mai letto Nietzsche? Ah, che libro! Dio Onnipotente, voglio essere onesto. Ti farò una proposta. Fai di me un grande scrittore e io tornerò alla Chiesa” (Fante, “Chiedi alla Polvere”) 
Tra i molti romanzi del nostro Fante (che vi devo dire, leggeteli TUTTI se non lo conoscete, e vi assicuro che farete una scoperta così sensazionale che mi dovrete invitare a cena), i più celebri sono senz’altro quelli appartenenti al cosiddetto ciclo di Arturo Bandini, alter ego letterario dell’autore, aspirante scrittore di famiglia immigrata dall’Italia in Colorado, che per coltivare le sue velleità artistiche si trasferisce a Los Angeles.
 
“Mi fermai a guardare i frammenti spumeggianti, la nebbia misteriosa. La rividi correre nella schiuma rombante, giocare eccitata dalla libertà gioiosa del momento. Oh, Camilla!” (Fante, “Chiedi alla Polvere”)
CHIEDI ALLA POLVERE, vertice assoluto del ciclo di Bandini, ci racconta gli strazianti ed eroicomici vagabondaggi di Arturo appena arrivato a Los Angeles, ai tempi della grande depressione. Solo e senza un soldo, con la sola compagnia di una macchina da scrivere con cui ogni notte scrive racconti nei quali ripone tutte le sue speranze, alloggiato in una fatiscente pensione del quartiere di Bunker Hill, innamorato senza essere corrisposto della bella cameriera messicana Camilla Lopez.
“Due persone in una stanza: una è una donna, l’altra è Arturo Bandini, che non è carne, né pesce, né niente” (Fante, “Chiedi alla Polvere”)
Vero, sanguigno, disarmante, divertente e tragicissimo, eroico e minimo, “Chiedi alla polvere” è anche una straordinaria e insuperabile lezione di scrittura coi controcazzi. E perdonate il francesismo.
Mi fanno ridere, letteralmente pisciare addosso dal ridere, tutti i manuali e i vari “consigli ai giovani scrittori” sparsi qua e là tra siti e librerie di mezzo mondo, dove c’è sempre scritto che bisogna SEMPRE evitare di mettere al centro di un romanzo un personaggio che fa lo scrittore, EVITARE come la peste la metaletteratura, gli alter ego.
Cazzate. Immani, gigantesche, assurde stronzate.
Per scrivere un racconto, o un romanzo, degni di questo nome, occorre metterci sangue e viscere. E per metterci sangue e viscere bisogna parlare di qualcosa che ci riguardi, ci turbi, ci sconvolga, non ci faccia dormire la notte. Il vecchio Tolstoj, che era un duro, diceva “parla del tuo minuscolo villaggio e avrai parlato del mondo intero”. Che è esattamente quello che fa John Fante con Arturo Bandini e con “Chiedi alla polvere”. Fidatevi: che siate scrittori, imbianchini, ragionieri o dirigenti aziendali, ci troverete voi stessi, nell’antieroe Bandini.
Sì, non ho dubbi. Per scrivere, o anche solo per trovare qualcosa di vero in quel che leggiamo, bisogna chiedere alla polvere, quella polvere “da cui non nasce nulla”, quella polvere che ci obbliga alla “frenetica ricerca di un riparo”, alla “ricerca affannosa di una pace”.
Leggetelo.
Lo trovate in qualsiasi libreria, edito da Einaudi. Costa qualcosa tipo 11 euro.
Ne vale davvero la pena.

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