Donne antifemministe a altre catastrofi

Tra le follie terrestri visualizzate e apprese questi giorni qua, ha attirato l’attenzione di tutti sta storia partita dagli States delle fanciulle antifemministe che si fanno i selfie con tanto di hastag a mo’ di slogan.
Ora, a colpirci e a stupirci anzicheno, non è tanto l’assurdità della cosa in sé (se gli operai votano da vent’anni Berlusconi, perché dovremmo stupirci che le femmine siano antifemministe?), né il contenuto grottesco degli slogan (alla stupidità siamo parecchio abituati, purtroppo).

Quel che ci colpisce è che sta notizia balza e rimbalza in continuazione e in ogni dove questi giorni, ma non è propriamente fresca di giornata. Anzi, a dirla tutta è parecchio stagionata. Vecchia di almeno un par d’anni.
Ma a parte che due anni fa non c’era il godimento di dire e scrivere selfie, ché ancora si chiamavano autoscatti e scrivere articoli intitolati “antifemminismo: dillo con un autoscatto” non è figo quanto “antifemminismo: dillo con un selfie”, a parte la contraddizione gigantesca rilevata da Il Fatto Quotidiano per cui se un paio di milioni di fanciulle possono oggi fotografarsi e lanciare una campagna d’opinione contro il femminismo, è proprio grazie ai diritti conquistati dal femminismo, ci pare chiaro come si tratti di una di quelle notizie da bosco e da riviera, per così dire, buona per tutte le stagioni in sostanza.
Come dire che ogni occasione è buona per ricordare alle femministe di tacere una volta per tutte, fare mea culpa, deporre le armi e ammettere che le loro battaglie hanno fatto più danni della grandine.
Non essendo io, sottoscritto lestoscrivente, femmina, non starò tuttavia a scrivere il perché e il percome ci sia ancora un colossale bisogno di femminismo nel mondo, un colossale bisogno di battaglia per una parità di diritti che a mio modesto parere sembra ancora lontana lontana. Molto meglio di me, lo scriveranno le dirette interessate.

Volendo invece prendere il tutto più in assoluto che nello specifico, ed essendo il femminismo, in assoluto appunto, movimento di rivendicazione di diritti, autodeterminazione, spazi e indipendenza, dico che tutta sta storia qua delle women against feminism rientra nella gigantesca operazione di progressivo restringimento e colpi di machete scagliati su qualsiasi gruppo o movimento si muova in questa direzione, la direzione cioè della ricerca di spazi di dissenso, discussione, approfondimento, democrazia, diritti, sensibilizzazione.
Un’operazione attiva continuamente e in maniera sempre crescente. Ma attiva in particolare d’estate, quando la superficialità di dibattito e informazione, che pure spopola quindici mesi l’anno, raggiunge i suoi picchi massimi

Allora via libera alla galleria di autoscatti, pardon, di selfie, dove milioni di giovani donne dicono “io non ho bisogno del femminismo”, senza soffermarsi su che cosa sia il femminismo, cosa sia stato e, soprattutto, cosa sia oggi e perché ancora oggi milioni di donne portano avanti determinate battaglie.

Basta il selfie, l’hastag e il messaggio comodo comodo che, se a farlo son milioni, ste femministe maledette qualcosa di male l’hanno fatto per forza. E che in chi spende il proprio tempo nella ricerca di un mondo migliore e non si accontenta di una società preconfezionata, le rotelle non sono propriamente a posto.
Poi tutti al mare, a mostrar le chiappe chiare.
Ché l’estate ci si diverte, e i rompicoglioni non li vogliamo.
Tra l’altro, manco riescono mai a farsi un’abbronzatura decente.
Amen.

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