Cinque domande a Riccardo Lestini

PILLOLE (lo spazio di un sospiro), di Federica Nosei

Cinque domande a….RICCARDO LESTINI

Meno di un mese fa è uscito “Solitudini”, un intenso e sorprendente libro di poesia a opera di una nostra vecchia conoscenza: lo scrittore e regista Riccardo Lestini. Il libro, che fa bene alla salute anche solo in quanto testimonianza concreta di come la poesia e la bellezza non siano affatto morte, è un avvolgente e penetrante viaggio negli anfratti più nascosti dell’animo, un toccante e commovente apologo della diversità e della luce che brilla dentro ognuno di noi.
Raggiunto al telefono, l’autore ha così risposto alle nostre domande:

1. Perché “Solitudini”, perché questo titolo?
Perché solitudine non vuol dire alienazione, eremitaggio. Solitudine significa unicità, essere se stessi al di là delle convenzioni che cercano di imporci. Io credo che la parola ‘solitudine’ abbia assunto questa accezione negativa proprio perché rappresentava una minaccia per chi ha cercava – riuscendoci spesso purtroppo – di massificarci, di renderci tutti uguali uno all’altro. E allora oggi ‘solitudine’ è una parola che evoca sofferenza, paura. Ma invece l’uomo è grande perché individuo, perché unico, perché solo. Ed è quello che cerco di dire nel mio libro.

2. Perché nel libro, specie nei titoli dei capitoli in cui è diviso, c’è un continuo e palese richiamo all’Odissea?
Perché il libro racconta un viaggio, e l’Odissea è l’archetipo di ogni viaggio. Ma non solo: credo di poter affermare oggi che niente, nel corso della mia vita, ha colpito e incendiato il mio immaginario come è riuscito a fare lo straordinario viaggio di Ulisse.

3. Quanta autobiografia c’è in questi versi?
Tutta la letteratura è autobiografica anche per il solo fatto che è concepita da un singolo essere umano che, nel momento in cui scrive in maniera sincera, libera e priva di condizionamenti, lo fa partendo dal proprio universo interiore, dalle proprie viscere più profonde. La poesia poi, in questo ha ancora meno filtri della prosa, l’io dell’autore arriva in maniera più diretta, totale e violenta.

4. Che ruolo ha – o dovrebbe avere – il poeta, e la poesia in genere, nel mondo di oggi?
Questa è una domanda cosmica, e la risposta non entra in uno spazio così breve. Mi limito a risponderti con quanto ha scritto un poeta da me molto amato, Lawrence Ferlinghetti: “la poesia esiste perché certi uomini vogliono mettere i fiori in prigione”. Ecco, per me il poeta è questo: un essere umano che non si rassegna a vedere i fiori in prigione…

5. Ogni libro, e questo non fa eccezione, è il frutto di un lavoro immenso, lungo ed estenuante. C’è qualcuno che senti in particolare di ringraziare?
C’è una lista infinita, senz’altro. In maniera assolutamente generica e per niente appagante, ringrazio tutte le persone che, vivendomi e lasciandosi vivere, anche senza saperlo e magari anche senza volerlo sono entrate in questi versi. Poi ringrazio Emilia Aru e tutto lo staff di Portaparole che ci hanno creduto dall’inizio, e pure più di me. Grazie ai miei genitori, a cui il libro è dedicato. E poi grazie alle persone che più mi hanno supportato e accompagnato in questo avvio di promozione del libro: Sara Minciaroni, Davide e Ilaria Paverini, che mi hanno regalato il loro tempo e il loro spazio, e Silvia Beillard e Manola Antonelli, due splendide attrici che mi hanno concesso l’onore di prestare la loro voce ai miei versi.

Federica Nosei (PILLOLE)

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