L’attentato

La disperazione di ogni essere umano, meriterebbe rispetto. Attenzione, non il gesto criminoso di impugnare una pistola e sparare, di certo assurdo. Dico proprio la disperazione. Il pregresso fatto di lavori perduti, soldi che non ci sono, la più elementare dignità di uomo che svanisce in un mondo dove non si trova più senso, posto, collocazione. Quando si spezza la trama di una vita accade qualcosa di terrificante, innaturale, come morire pur restando in vita.
Liquidare tutto questo, al solito, nella casistica del mero ‘disturbo mentale’ è quanto meno superficiale, sicuramente più superficiale di queste due righe che sto scrivendo a caldo, perplesso e inquietato. Superficiale poiché in questo caso la disperazione del singolo è figlia di un humus collettivo di disperazione sociale che riguarda tante, troppe persone. Superficiale e criminale, criminale forse quanto il gesto di sparare, poiché la liquidazione dell’accaduto come ‘raptus di follia’ equivale all’ignorare un problema sociale immenso, di una fetta enorme di popolazione senza più speranza né prospettive di riscatto.
Criminale due voite dal momento che tale facile liquidazione viene dalle istituzioni, che l’emergenza dovrebbero curarla anziché ignorarla.
Criminale tre volte, se prontamente si sfrutta l’accaduto per addossare la colpa alla protesta civile, alla piazza rumorosa e contestatrice. Come a dire: se qualcuno arriva a progettare e attuare gesti estremi del genere, la colpa è di chi contesta, non di chi non è in grado di trovare soluzioni. Una strana e grottesca riedizione di una strisciante strategia della tensione in perfetto stile italiano.

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