Ancora sul G8, ancora su Carlo Giuliani

Visto che in questi ultimi giorni, per vari motivi, ho riaffrontato il discorso Genova-G8 in diversi post, continuano ad arrivarmi mail in proposito.
In una di queste, letta mezzora fa, mi si pone una domanda che, a mio avviso, contiene diversi spunti interessanti.
In sostanza mi si chiede come mai, in tutti questi anni dedicati alla ricostruzione puntigliosa di quegli eventi e alla ricerca incessante di verità e giustizia, non abbia mai raccontato pubblicamente la “mia” storia, cosa cioè sia effettivamente successo a me durante le giornate di Genova di dodici anni fa.
Le risposte sono diverse. Non l’ho mai raccontata né per pudore né perché abbia qualcosa da nascondere. Tutt’altro. Prima di tutto io, sinceramente, non credo che la mia stretta vicenda personale possa interessare davvero qualcuno. Né credo che sia poi così importante.
Mi spiego meglio. Nelle mie opere sul G8, il fumetto “L’estate ritorna”, il breve monologo “Genova Libera” ma soprattutto lo spettacolo “Con il tuo sasso”, ho sempre voluto affrontare la questione da un punto di vista oggettivo, quasi clinico direi, basandomi quasi esclusivamente sui documenti e lasciando il più possibile stare ricordi e, soprattutto, emozioni personali.
Un po’, non lo nascondo, ho sempre avuto la paura di scivolare nella retorica del ‘reduce’. Ma soprattutto, ed è questa la cosa più importante, ho sempre pensato – e continuo a pensare – che Genova 2001 sia una storia collettiva e come tale vada raccontata. Ho sempre pensato che solo nella ricerca della verità oggettiva e collettiva trovino senso le esperienze personali dei singoli, compresa la mia. Le esperienze personali sono le fondamenta e la spinta alla ricerca della verità. Così è stato per me: la mia rabbia, le mie emozioni, i miei ricordi, sono stati il motore di tutto quanto il mio lavoro. Che però poi si è compiuto – e si compie – necessariamente come restituzione di una verità di tutti.