Quelli che vogliono svecchiare la politica

Tempi bigi e tristi come i nostri sono riusciti – tra i tanti capolavori – anche in questo: a trasformare una questione seria, problematica e fondamentale, come quella del ruolo dei giovani nella società, in una specie di ossessivo, vuoto e astruso tormentone. Dai giovani all’ossessione della gioventù. Con la differenza che un tormentone, in musica o in televisione, ti sfinisce per una stagione. In politica, invece, te lo sorbisci per anni. E allora via: diamo spazio ai giovani, candidiamo un giovane, trovatemi un giovane, fritto misto di giovani, sette chili in sette giovani, linguaggio giovane, i giovani al centro, il centro dei giovani, viva i giovani.
Scherzi a parte, il fatto è che ormai il parlare dei giovani non è più nemmeno un discorso, ma uno slogan, un’etichetta di comodo. Che, nel migliore dei casi è vuoto e fasullo, nel peggiore risulta becero, violento e qualunquista. Che non va e non fa bene.
C’è prima di tutto, a mio avviso, una confusione, un ambiguo travisamento di fondo. Si confondono, si scambiano pericolosamente, le problematiche giovanili con l’esigenza di rinnovare. E, checché se ne dica e checché se ne pensi, gioventù e rinnovamento non sono sinonimi. Lo dice la lingua italiana e lo dice l’intelligenza più elementare. A parte che i repulisti evocano sinistri ricordi fascisti, per ‘rinnovare’ la società non basta far fuori dalle torri di controllo tutti gli over 50, ma occorre un serio e complesso processo culturale, sociale e politico che riguarda tutta la società, dai bambini agli anziani.
Trasformare invece, come purtroppo accade di frequente, la questione in slogan, in pura demagogia e tetro qualunquismo, ha effetti devastanti. Come, per esempio, usare i giovani per dare un bel vestito al più trito dei linguaggi tipici dei politicanti da bar o da autobus (“tutti a casa, tutti a calci in culo”). Oppure come mezzo misero per semplificare furbescamente problematiche che semplici non sono per niente. Sia chiaro, anche a me piacciono le cose semplici. Ma la semplicità, valore altissimo, è utile e fruttuosa solo come risultato di un percorso. Un percorso che, per essere serio, deve necessariamente partire dal complesso senza usare facili scorciatoie a effetto (facile dire ‘un milione di posti di lavoro’, facile dire ‘abbassiamo le tasse’…un po’ meno facile dire come farlo). Così come ogni ‘essenziale’ è utile e fruttuoso solo se risultato di una sintesi. Altrimenti si ottengono gli stessi risultati di quegli studenti che, invece del libro, studiano sui bignami. Vale a dire, risultati catastrofici. Questa, purtroppo, non è semplicità, ma semplicismo. Un semplicismo che, oltre a produrre idee di banalità sconcertanti (tipo che ringiovanire la classe dirigente, di colpo, risolve ogni problema e libera da ogni male, amen), ha anche prodotto frasi e immagini d’una violenza strisciante e pericolosa (il giorno del vaffanculo, rottamazioni e via dicendo…).
Per questo mi fido poco di quelli che vogliono svecchiare la politica. Nel loro parlare di giovani vedo soprattutto ammiccamento, slang fasullo, specchietti per le allodole.
E tutto questo, oltre a non aiutare il paese, di certo non aiuta i giovani. Anzi, li mortifica. Con questo sistema i giovani diventano una sorta di specie protetta da salvare in percentuali elettoralmente spendibili. Ma i giovani non sono panda da wwf, sono esseri umani. E, come ogni fetta di società, anziché essere usati come bandiera di comodo, meritano ben altro. Meritano, anzitutto, che venga messo a frutto il loro potenziale. Che, al di là di tutto, è senza dubbio immenso e inimmaginabile.
Una società rinnovata non è una società governata da giovani, ma una società governata in modo da mettere a frutto il loro potenziale, e di cui, senz’altro, in maniera naturale e senza demagogia di comodo, rappresenterebbero il motore più autentico e genuino. Ce lo insegna la storia nei suoi esempi più alti. Ce lo insegnano alcuni scritti immensi di Leopardi, ce lo insegnano gli ideali di Mazzini e ce lo insegnano le ragazze e i ragazzi che liberarono l’Italia dal fascismo. Ce lo insegnano le ragazze e i ragazzi del ’68.
Qualcuno mi dirà che citare Leopardi e Mazzini è davvero troppo anacronistico. Rispondo dicendo che, al contrario, sto parlando di futuro.
Ed è davvero inutile guardare al futuro se non si conosce il passato.

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