Ti ricordi di noi?

Ti ricordi di noi?
Ricordi che era primavera, il nuovo millennio appena spalancato sui nostri pensieri e Guccini che quella sera suonava al Palasport? Tu avevi già pantaloni larghi, capelli scarmigliati in balia di ogni vento e una borsa gigante e piena di cose che non ti sarebbero servite mai; io avevo ancora magliette che sbandieravano i miei ideali già sepolti dalla Storia, una tesi da portarmi a spasso e un walkman che andava a cassette. Fu inevitabile trovarci, parlarci, sceglierci: io assaltavo la vita, parlavo ad alta voce ed esibivo me stesso, tu tacevi, ridevi e sottolineavi a lapis quintali di dispense spaiate. Eppure ci somigliavamo, molto più di quel che pensassero gli altri e molto meno di quel che pensassimo noi. Tu mi parlavi dei tuoi amori e io vaneggiavo di donne lontane e perdute nel passato brevissimo della mia vita ancora giovane. Non volevamo amarci e non volevamo sfiorarci, ma casa mia aveva i tuoi contorni, si modellava sui tuoi occhi enormi color nocciola e c’era il tuo profumo sulla mia scrivania. Ma non bastò una notte d’estate sdraiati sulla pietra d’una piazza deserta a guardarci per intrecciare le nostre mani. Eravamo sottili come fili d’argento, fragili ritagli di foglie, vent’anni e nient’altro: ci saremmo persi senza un bacio e senza una carezza. Senza una parola.
Amica mia, ti ricordi di noi?
Non sapevo spiegarti e mi facevi paura. Fu strano ritrovarti un anno dopo, più strade negli occhi ma sempre la stessa. E io non avevo un’altra donna a proteggermi dalla tua voce, dalle tue esplosioni d’allegria, dai mille colori che ti mettevi addosso, dalle nostre cene e dalle nostre notti a parlarci addosso. Era buffo chiamarti la mia migliore amica mentre lo stomaco mi si chiudeva a morsa ogni volta che ti vedevo arrivare. E poi una sera era inverno e campagna desolata, la mia festa e un fienile stracolmo di gente, si baciavano tutti e ci baciammo anche noi e fingemmo di non averlo mai fatto. Ma le coperte sarebbero finite presto, l’estate ci avrebbe lasciati nudi e indifesi a quell’appuntamento inevitabile con noi che ci aspettava da due anni. E quella notte d’estate c’eravamo noi, San Frediano, il nostro bacio e nient’altro: ci saremmo persi ancora, stavolta per un bacio e mille carezze. E nessuna parola.
Ma tu ti ricordi di noi?
Ti ricordi che passò di nuovo un anno e che di nuovo tornai perché sempre sarei tornato, perché era impossibile rinunciarci, impossibile non cercarci, impossibile non tenerci in qualche modo per mano? Ti ricordi a Roma, quel mare infinito di gente e le bandiere e gli striscioni e il treno e la notte di nuovo a Firenze e il consumarsi delle nostre mani tra le voci degli altri e i sedili e l’autoradio? Ti ricordi l’ultimo dell’anno, l’abbraccio infinito alla stazione e quel bacio finalmente eterno, vero, reale, le sei di mattina, il tuo divano e la tua camicia a quadri? Ti ricordi noi due, non più amici ma insieme, ti ricordi Reggio Emilia, i miei scatoloni, le mie crisi, i miei silenzi, i fiori, il vaso e il piumone arrotolato sulle nostre gambe intrecciate?
Cuore mio, ricordi, ti ricordi?
Ti ricordi quando finì ogni cosa e c’erano solo cocci e non saremmo mai più tornati indietro? Ero cattivo, incapace, crudele, impaurito, bambino. Avrei dovuto dirtelo quella notte in campagna quando mi hai abbracciato nel sonno, avrei dovuto dirtelo che ancora non sapevo spiegarti e ancora mi facevi paura. Ma mi era più semplice scappare e cancellare, e ti era più semplice piangere e gridare. Allora diventare estranei fu naturale come era stato trovarci. Rimanemmo occhi da lontano, rossori soffocati, discorsi incompiuti lasciati cadere sulla strada. E mai più raccolti.
Amica mia, ti ricordi di noi?
Io mi ricordo, e tu? Sono passati molti anni, anni in cui non ti ho mai vista e ho saputo di te da frammenti di discorsi e parole mozzate che quasi mai ci riguardavano. E oggi dopo anni (cinque?) ti rivedo, senza preavviso, inattesa, e sempre larghi i tuoi pantaloni, sempre preda dei venti i tuoi capelli scarmigliati, sempre gigantesca la tua borsa (ma cosa c’è dentro adesso?). E oggi dopo anni (quattro?) ti rivedo e come stai e sono invecchiato e sono diverso e dove sono finite le mie magliette e dove si sono cacciati i miei vent’anni e sei sempre la stessa. E oggi dopo anni (secoli?) ti rivedo e vorrei dirti nessuno ci ha mai capito niente di noi, vorrei dirti lo so, ho scritto un libro e ci ho infilato dentro la parte peggiore di noi e di te, ti sei sentita rapita e tradita e hai avuto ogni ragione di disprezzarmi. Ma vorrei dirti fermati, ascoltami un attimo, sono uno scrittore, e mi nutro anche del brutto, sono uno scrittore e quello era solo un romanzo, sono uno scrittore e quella non sei tu. Ho scritto che non t’ho mai amata ma non era vero. Amica mia, t’ho amata e di due amori: uno puro, totale e affamato, l’altro tragico e impaurito. Si sono dati battaglia per anni e alla fine hanno vinto orgoglio e paura. La vita è così ogni tanto ed è triste battere i pugni nel vuoto e ammettere di non avere avuto la forza di cambiarla. Oggi dopo anni (quanti?) ti rivedo e non ti dico niente di tutto questo e non voglio dirti niente di tutto questo. Ma amica mia, vorrei dirti invece: sai che ancora ho quel pacchetto di sigarette vuoto che mi spedisti per Natale? E poi vorrei sapere: piangi ancora per la cieca di Charlot?
Ti ricordi di noi? È così triste dimenticare…

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