Il vuoto del potere e il volo delle lucciole

IL VUOTO DEL POTERE E IL VOLO DELLE LUCCIOLE

Ci sono cose che solo i poeti sono in grado di fare. Solo i poeti possono trasformare la rabbia in canto, solo i poeti possono mescolare rabbia e dolcezza, lacrime e sorrisi.
Nel febbraio del 1975 Pier Paolo Pasolini scrisse un celebre articolo, “Il vuoto del potere”, passato alla storia come “La scomparsa delle lucciole”. L’articolo è una feroce denuncia contro quel “fascismo dei consumi” nato dalle ceneri del fascismo stesso, quel fascismo che ha trionfato negli anni sessanta con il “presunto” boom economico, quel fascismo del capitale che ha spersonalizzato gli esseri umani,che ha compiuto la più terrificante omologazione di massa, che ha manipolato le coscienze individuali attraverso l’uso delittuoso dei mezzi d’informazione, che ha spazzato via ogni residuo di umanità. Un fascismo, secondo Pasolini, ancora più agghiacciante di quello del ventennio, che al posto del manganello ha saputo usare il sorriso falso e untuoso, ottenendo risultati devastanti. Ma Pasolini era un poeta, e anche una denuncia così spietata avrebbe avuto il suono dei versi. E i versi, in questo caso, avrebbero avuto la luce dolce delle lucciole. Pasolini individua il definitivo trionfo del capitalismo con la scomparsa, dalle città, delle lucciole, simboli estremi della bellezza e dell’innocenza.
Oggi, trentacinque anni dopo, quel processo devastante del “vuoto del potere” e della sconfitta dell’umanità e dell’intelligenza, è ancora più avanzata. Oggi, trentacinque anni dopo, le lucciole sono scomparse anche dalle campagne, dalle macchie e dalle colline.
Io mi ricordo da bambino le estati in collina, le estati dei primi anni ottanta, la fiat 128 arancione di mio padre, le strade ancora remote e sterrate, l’Italia campione del mondo e gli zoccoli bianchi di mia zia. Mi ricordo che rincorrevamo le lucciole quelle sere d’estate, nel buio irreale delle pinete, in quei silenzi senza tempo. Ed era un miracolo vedere apparire d’improvviso quella luce intermittente, rincorrerla. Afferrare una lucciola era come stringere in mano la bellezza, assaporarla, sentirla scorrere sulla pelle.
Tornare oggi in collina fra quegli alberi vuol dire non ritrovare quei silenzi, e vuol dire non ritrovare le lucciole. Eppure quest’anno, a giugno, inizio estate, mentre passeggiavo lungo i binari della ferrovia, il miracolo si è compiuto ancora: una lucciola mi è apparsa davanti come una speranza, come un fiore che non può morire, come l’ennesima testimonianza dell’immortalità della bellezza. L’ultimo film di Pasolini, “Salò”, si svolge in un crescendo allucinante di violenze, morte, torture e depravazioni. Ma l’ultima scena, al termine di un’interminabile sequenza di immagini da incubo, è di una dolcezza straziante. Un ragazzetto di diciott’anni o poco più mette un disco e si mette a ballare quella splendida melodia assieme al suo commilitone. Poi, guardandolo dritto negli occhi gli chiede: “Come si chiama la tua fidanzata?”. E l’altro risponde: “Margherita”. Fine, titoli di coda.
Quella sera tiepida di giugno, sui binari della ferrovia, è stato come se quella lucciola mi invitasse a ballare e mi chiedesse il nome della donna che mi fa battere il cuore.
Continuiamo a cercarle.
Buon futuro a tutti.

Riccardo Lestini

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